Non i siti di arricchimento, la cui distruzione può provocare una contaminazione locale più chimica che radioattiva, ma la centrale nucleare di Bushehr, il cui bombardamento avrebbe gravi conseguenze con inquinamento radioattivo su scala regionale nel Golfo e in tutto il Medio Oriente e fino a Pakistan e India. Questi sono i rischi legati agli attacchi al complesso nucleare iraniano, che la scorsa notte ha visto la prima ondata di attacchi americani, che, dopo quelli israeliani usando le bombe guidate ad alta penetrazione, le “buker buster”, hanno preso di mira anche e soprattutto le infrastrutture sotterranee degli impianti di Natanz e soprattutto Fordow.
L’operazione “martello di mezzanotte”
Il Pentagono l’ha ribattezzata operazione “midnight hammer”, martello di mezzanotte. Ha coinvolto complessivamente 125 aerei ma il suo cuore è stato un gruppo d’attacco di sette bombardieri strategici B2, velivoli stealth, cioè non rilevabili dai radar. I B2 sono decollati dal Missouri e dopo 18 ore di volo e numerosi rifornimenti in volo, scortati da caccia, sono giunti sull’Iran. Alle 2.20 ora locale è iniziato l’attacco. Il ritorno alla base è avvenuto dopo 37 ore.
Il primo B2 ha lanciato 2 bombe ad alta penetrazione GBU57 – mai usate prima in azioni operative – sull’impianto di Fordow. Gli altri sei velivoli (ognuno aveva 2 GBU-57) hanno sganciato sui loro target altre 12 “bunker buster” per un totale di 14 bombe ad alta penetrazione. Due sono state sganciate su Natanz e ben 12 su Fordow, l’installazione più profonda con tunnel che si stima raggiungano i 90 metri di profondità.
Nell’azione i B2 hanno sganciato anche altre bombe GBU, per un totale di 45 ordigni. Nel frattempo un sottomarino a propulsione nucleare della US Navy faceva partire 30 missili da crociera Tomahawk verso il sito di Isfahan e quello di Natanz. Trump e il segretario alla difesa Pete Hegseth hanno parlato di “obliterazione” del programma nucleare iraniano. Il “Battle damage assesment” (la verifica dei danni provocati nell’azione) deve ancora essere fatto ma con ogni probabilità, come accade spesso per Trump, parlare di “obliterazione” è una esagerazione.
Piuttosto, come ha correttamente detto il vicepresidente JD Vance, il programma nucleare iraniano “è stato sostanzialmente ritardato”. Con ogni probabilità i danni sono estesi e i tunnel crollati, il che ritarda il programma, ma non abbastanza da comprometterlo. Da notare che sia secondo le autorità iraniane che l’AIEA, l’agenzia sul nucleare di Vienna, non ci sono contaminazioni radioattive all’esterno dei siti. Questo sia perché buona parte delle attività sono sotterranee sia perché gli iraniani avevano comprensibilmente spostato da giorni il materiale arricchito. Tre giorni prima dello strike una attività anomala, con la presenza di 16 camion all’ingresso di uno dei tunnel, è stata notata da immagini satellitari di Maxar Technologies fuori dal sito di Fordow .
Il (mezzo) segreto degli ayatollah
Il 12 giugno scorso l’Iran, per bocca del capo della Iran Atomic Energy Organization, Muhammad Eslani, aveva comunicato di avere un altro sito di arricchimento “pronto all’uso in una location sicura e invulnerabile: appena l’istallazione delle centrifughe sarà completata, l’arricchimento potrà cominciare”. Sembra che l’affermazione sia sostanzialmente corretta. Il nuovo impianto, costruito dopo il 2001 ampliando un vecchio tunnel scavato nel 2007, si trova a Kuh e Kolang, nelle viscere della montagna di Ganz La, poco a sud del sito di Natanz. La vetta del Ganz La è alta 1608 metri – il 50% più alta della montagna nella quale è scavato il sito di Natanz – e i tunnel di accesso si trovano a quota 1.512 (ingresso ovest) e 1.445 (ingresso est).
Secondo gli analisti i tunnel porterebbero a sale centrali (si parla una superficie utile tra 4 mila e 5.300 metri in totale) che sorgono, vista l’altezza media della cresta della montagna che è di 1.590 metri, a meno78 e a meno145 metri di profondità. In questo ultimo caso, molto più inaccessibili di Fordow. E potrebbe essere anche più profonda se i tunnel fossero inclinati di un 10-15%: si va dai 220 ai 335 metri sottoterra. Troppo per qualsiasi “bunker buster”. E’ lì che è stato trasportato l’esafluoruro di uranio già arricchito al 60%?
Secondo l’AIEA, l’inventario totale di uranio arricchito dell’Iran al 17 maggio era di circa 9.250 chilogrammi. Questa cifra comprende 8.400 chilogrammi di gas esafluoruro di uranio; 620 chilogrammi di ossido di uranio; 71 chilogrammi di uranio metallico in gruppi di combustibili, piastre e barre; 4 chilogrammi di uranio in bersagli; e circa 140 chilogrammi di uranio in rifiuti liquidi e solidi. L’AIEA stima inoltre che oltre 400 chilogrammi di gas esafluoruro di uranio siano già stati arricchiti al 60%, un livello considerato altamente arricchito, ma non ancora di tipo “military grade”, pronto per costruire una bomba.
Questi 400 chili sono a Kuh e Koang? Non lo sappiamo, ma è possibile. E secondo gli addetti ai lavori questo uranio potrebbe essere arricchito al punto di poter essere utilizzato per costruire bombe atomiche – le stime vanno da 10 a 19 ordigni – in circa quattro mesi. Poi certo, le bombe vanno ingegnerizzate e costruite, ma è ragionevole che nell’arco di un anno/un anno e mezzo, se ha salvato le scorte arricchite in precedenza, l’Iran possa avere la sua bomba.
La pericolosità degli impianti attuali
Una interessante analisi sui pericoli degli attacchi contro le installazioni nucleari iraniane è stata effettuata dal Bulletin of Atomic Scientists, la stimata Ong contro la proliferazione nucleare, che cura il famoso “orologio dell’apocalisse”. Ecco i punti essenziali.
NATANZ (Rischio molto basso, soprattutto tossicità chimica).
“Situato a circa 300 chilometri a sud di Teheran, nella provincia di Isfahan, Natanz – scrive Francois Dias Maurin, direttore associato del Bullettin – è il principale impianto di arricchimento dell’Iran. Ospita sia un impianto sotterraneo di arricchimento del combustibile (FEP) per i reattori nucleari commerciali, sia un impianto pilota di arricchimento del combustibile (PFEP), tecnologicamente più avanzato, in superficie.
Il materiale nucleare e le attrezzature per l’arricchimento di entrambi gli impianti sono sotto la supervisione internazionale dell’AIEA” “Il sito è stato attaccato nelle prime ore dell’operazione israeliana del 13 giugno, distruggendo una sottostazione elettrica in superficie e un impianto di stoccaggio di gas esafluoruro di uranio. In seguito all’attacco, Grossi ha dichiarato che gli isotopi di uranio contenuti nel gas esafluoruro di uranio potrebbero essere stati dispersi all’interno dell’impianto di stoccaggio. Le radiazioni di questi isotopi dell’uranio, principalmente sotto forma di particelle alfa, potrebbero rappresentare un pericolo significativo se inalate o ingerite. Questo rischio può essere gestito con misure di protezione adeguate. Il rischio principale all’interno dell’impianto di stoccaggio è la tossicità chimica del gas esafluoruro di uranio e dei composti di fluoro generati a contatto con l’acqua. Il rischio radiologico derivante dall’uranio arricchito a Natanz è probabilmente molto inferiore alla tossicità chimica del fluoro”.
FORDOW (rischio molto basso, soprattutto tossicità chimica)
“Fordow – scrive il Bullettin – è il secondo impianto pilota di arricchimento del combustibile (FFEP) dell’Iran. Si trova in profondità, a circa 80-90 metri di profondità, all’interno di una montagna vicino alla città di Qom, nel nord dell’Iran. Secondo l’AIEA, l’impianto ospita 1.044 centrifughe IR-1 e 1.740 centrifughe IR-6 del tipo più avanzato. Complessivamente, Fordow può produrre tra i 30 e i 35 chilogrammi di uranio altamente arricchito (60%) al mese. L’impianto potrebbe anche essere dirottato per produrre 25 chilogrammi di esafluoruro di uranio arricchito al 90 percento, sufficiente per un’arma, in soli tre giorni. Vista anche la profondità dell’impianto, la radioattività, a meno di un attacco con arma nucleare da parte degli Stati Uniti o di Israele, resterebbe intrappolata sotto la montagna e il rischio è soprattutto di tossicità chimica”.
ISFAHAN (rischio moderato)
“Isfahan – scrive sempre il Bullettin – ospita un vasto centro di tecnologia nucleare ed è considerato uno dei siti più importanti per il programma nucleare iraniano. Il sito gestisce tre piccoli reattori di ricerca ed è prevista la costruzione di un quarto. Inoltre, il sito comprende un laboratorio chimico centrale, un impianto di conversione dell’uranio in esafluoruro di uranio da utilizzare nelle centrifughe per l’arricchimento, un impianto di produzione di combustibile per reattori e un impianto di stoccaggio delle scorie nucleari.
Il sito comprende anche un impianto per convertire l’esafluoruro di uranio in octaossido di triuranio (noto anche come “yellowcake”) e produrre piastre di combustibile da utilizzare per gli esperimenti nel reattore di ricerca di Teheran. Nel 2021, l’AIEA ha trovato nell’impianto di conversione dell’uranio attrezzature per la produzione di uranio metallico che potrebbero servire a fabbricare il nucleo di un’arma nucleare a implosione. L’uranio metallico è meno pericoloso dal punto di vista chimico rispetto al gas esafluoruro di uranio, ma presenta un rischio significativo di radiazioni.
TEHERAN RESEARCH CENTER (rischio moderato)
Il Centro di ricerca di Teheran comprende un reattore di ricerca e un sito per la produzione di radioisotopi medici utilizzati nel trattamento del cancro. Se il reattore di ricerca fosse colpito da un attacco, le conseguenze radiologiche sarebbero significative.
CENTRALE DI BUSHEHR (rischio elevato).
“L’impianto di Bushehr, situato sulla costa del Golfo Persico – scrive il Bullettin – , è la prima centrale nucleare commerciale dell’Iran. L’impianto è un reattore elettrico ad acqua leggera VVER da 1000 megawatt di concezione russa, che utilizza combustibile fornito dalla Russia e poi riportato in Russia per lo smaltimento. L’impianto ha dipendenti russi in loco. Nel sito sono in costruzione due nuovi reattori di progettazione russa. Bushehr è il sito nucleare iraniano dove un attacco potrebbe avere le conseguenze più gravi, come ha avvertito anche l’Aiea. Poiché l’impianto è in funzione, ci sono migliaia di chilogrammi di materiale nucleare in loco.
Il direttore dell’Aiea, Rafael Grossi ha avvertito che “un attacco al reattore di Bushehr o alla piscina di stoccaggio del combustibile potrebbe comportare un rilascio molto elevato di radioattività nell’ambiente”. Ma una grave emissione di radiazioni a Bushehr potrebbe anche derivare da una perdita di energia elettrica in loco, che costringerebbe i sistemi di raffreddamento a spegnersi e porterebbe a un incidente al reattore o a un incendio nella piscina di stoccaggio del combustibile nucleare esaurito, densamente stipata nell’impianto”. E’ questo l’impianto, oltretutto assolutamente civile, che americani e israeliani non dovrebbero mai toccare, in nessun caso.