25 Giugno 2025
/ 24.06.2025

Cop sul clima: il Brasile pensa in grande, ma cede sulle trivelle

Il Piano per la Cop30 è molto ambizioso, ma si moltiplicano le polemiche per la decisione di mettere all'asta i diritti di estrazione di petrolio e gas in 172 aree del Brasile

Tra le buone intenzioni e le buone azioni ci sono spesso in mezzo gli interessi economici. E’ il caso della preparazione della 30° COP, la annuale conferenza delle parti sul clima, che si terra a Belem, in Brasile, a novembre. Il presidente Lula vuole un successo e per questo ha dato istruzione di creare una forte intesa diplomatica con la Cina e ha nominato alla presidenza della Cop un diplomatico esperto come l’ambasciatore Correa do Lago e selezionato una serie di personalità brasiliane che dovranno svolgere il ruolo di facilitatori del negoziato. 

L’agenda per Belem

Venerdì 20 giugno l’ambasciatore Correa do Lago, presidente della COP 30, ha presentato la sua agenda per Belem. “Belém – dice il documento – deve essere concentrata sulla implementazione. Vogliamo soluzioni, risposte e la dimostrazione che ci sono percorsi che sappiamo già che possono funzionare”. La proposta di azione per il clima del Brasile mira ad essere “una serra di soluzioni”. È costruita attorno a sei pilastri tematici: transizione energetica, industriale e dei trasporti; gestione delle foreste, degli oceani e della biodiversità; trasformazione dell’agricoltura e dei sistemi alimentari; resilienza delle città, delle infrastrutture e dell’acqua; promozione dello sviluppo umano e sociale; sblocco dei fattori abilitanti e degli acceleratori, compresi i finanziamenti, la tecnologia e la creazione di capacità. All’interno di questi sei pilastri sono state identificate 36 “aree di opportunità ad alto effetto leva”. 

L’obiettivo è promuovere un’azione per il clima che sia trasversale e crei benefici a cascata in tutti i settori. Correa do Lago invita tutte le iniziative e le coalizioni che si sono formate durante le precedenti COP – comprendono governi subnazionali, aziende, investitori, Ong e comunità – ad accelerare l’attuazione e a proporre soluzioni. Verrà creata un’agenda consultiva, guidata dai “campioni di alto livello” della COP29 e della COP30, per definire un piano d’azione quinquennale. “Facciamo in modo che la COP30 sia il momento in cui inauguriamo una nuova era, in cui l’azione collettiva diventi la nostra soluzione climatica più duratura. Il tempo per un’agenda di sforzi globali è ora”. Una novità importante del piano d’azione presentato dalla presidenza brasiliana della COP30 è l’interpretazione del Global Stocktake (GST) dell’Accordo di Parigi come una sorta di “NDC globale”. 

Sinora i contributi determinati a livello nazionale (NDC) dell’Accordo di Parigi riflettono gli impegni specifici dei Paesi, e vengono presi su base volontaria. La proposta del Brasile riformula il GST come un “GDC”, un contributo determinato a livello globale, dandogli un valore più forte, almeno semanticamente. “Servirà come bussola globale per aumentare la nostra ambizione multilaterale”, si legge nel documento. La strada sembra interessante, improntata a un sano pragmatismo, ma la strada resta complessa, sia in sede UNFCCC che a casa.  

A Bonn, nuove questioni da risolvere

Le basi per il successo o l’insuccesso delle COP vengono solitamente gettate in occasione di riunioni di metà anno più tranquille e tecniche come l’SB62, la 62a sessione degli organi sussidiari della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). L’evento, noto anche come Conferenza sui cambiamenti climatici di Bonn, in agenda dal 16 al 26 giugno ed è l’unico spazio negoziale formale in vista della COP30: ma il suo svolgimento sta mostrando le consuete lentezze e complicazioni delle negoziazioni climatiche. Il Brasile ha svolto un ruolo molto attivo a Bonn, promuovendo per il giorno precedente l’avvio dei lavori un nuovo format chiamato “day zero”, nel quale i capi delegazione si sono confrontati sui temi chiave. 

Ma gli ostacoli non sono mancati. il gruppo di nazioni noto come “Like-minded developing countries”, coordinato dalla Bolivia e comprendente Cina, India, Indonesia, Vietnam, Arabia Saudita e altri ha avanzato due questioni che rischiano di complicare le trattative a Bonn e poi a Belem. Uno dei due punti in discussione è il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), una politica dell’Unione Europea che mira a livellare il costo del carbonio tra i prodotti nazionali e quelli importati. L’obiettivo è prevenire la concorrenza sleale e incoraggiare la riduzione delle emissioni di gas serra, ma per i “Like minded” si tratterebbe di una barriera al libero commercio. 

La seconda questione riguarda i finanziamenti per il clima. I “Like minded” volevano un nuovo sull’articolo 9.1 dell’Accordo di Parigi, quello che stabilisce che i Paesi sviluppati devono fornire sostegno finanziario per aiutare i Paesi in via di sviluppo negli sforzi di mitigazione e adattamento.  Ma riaprire la discussione significherebbe rivedere il Nuovo Obiettivo Collettivo Quantificato (NCQG), concordato alla COP29 di Baku nel 2024, che ha fissato un obiettivo minimo di 300 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti per il clima entro il 2035, per poi raggiungere 1.300 miliardi di dollari all’anno attraverso finanziamenti pubblici e privati. 

La conferenza di Bonn finirà giovedì 26 ma sui due punti sollevati dai “Like mindeed” Il risultato è stato un compromesso. Per quanto riguarda l’articolo 9.1, si è deciso che i presidenti dei colloqui di Bonn terranno “consultazioni sostanziali” e riferiranno i risultati alla COP30 di Belem. Per quanto riguarda le misure commerciali unilaterali – le tasse sul carbonio sulle importazioni nell’UE e in alcuni altri Paesi sviluppati – è stata aggiunta una nota all’ordine del giorno in cui si afferma che l’argomento sarà discusso nell’ambito dei punti pertinenti dei negoziati, compreso il programma di lavoro sulla transizione giusta. Non molto successo per i “Like minded” e probabilmente altro lavoro da fare a Belem. 

Intanto in Brasile…

Mentre la presidenza brasiliana della COP30, su indicazione di Lula, cerca di garantirsi un successo a Belem, il governo brasiliano ha messo all’asta i diritti di estrazione di petrolio e gas in 172 aree del Brasile e delle sue acque, di cui 47 al largo della foce del Rio delle Amazzoni. Patricia Baran, capo dell’agenzia petrolifera nazionale ANP, ha dichiarato ai giornalisti che anche altri Paesi stanno annunciando nuovi giacimenti di petrolio e gas, e che i blocchi messi all’asta includeranno ulteriori protezioni ambientali e sociali. La gara d’appalto è iniziata con i controversi blocchi amazzonici, assegnati alla compagnia petrolifera nazionale brasiliana Petrobras, alle aziende americane ExxonMobil e Chevron, e alla cinese CNPC, di proprietà statale. 

La ONG 350.org ha individuato due responsabili: la presidente di Petrobras, Magda Chambriard, che il mese scorso ha copiato lo slogan di Donald Trump “drill baby drill”, e il ministro brasiliano delle miniere e dell’energia, Alexandre Silveira, che ha affermato che il Brasile “non dovrebbe vergognarsi di essere produttore di petrolio”. 

Una ricerca di ClimaInfo stima che, una volta bruciati, il petrolio e il gas dei blocchi messi all’asta rilascerebbero 11 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Senza contare i rischi per la biodiversità. Claudio Angelo dell’”Observatório do Clima” ha dichiarato a Climate Home che una fuoriuscita di petrolio dai 47 blocchi offshore vicino a Belém e al Rio delle Amazzoni devasterebbe le barriere coralline, le mangrovie e le coste del Brasile e della vicina Guyana francese. Ergo, mentre il governo brasiliano lavora per un successo a Belem, al suo interno si muovono forze che remano contro. E’ l’economia, bellezza, che cerca di portare la politica a fare i suoi interessi. 

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