Siccità estrema e alluvioni lampo: il cortocircuito climatico travolge le due isole maggiori in Italia. In audizione alla Commissione parlamentare per il contrasto agli svantaggi dell’insularità, il capo della Protezione Civile Fabio Ciciliano ha tracciato un quadro preoccupante. Le due isole maggiori, ha spiegato, sono particolarmente colpite dall’aumento della frequenza di fenomeni siccitosi interrotti da brevi alluvioni violente.
Una combinazione micidiale. Il territorio siciliano e quello sardo soffrono infatti un doppio paradosso: troppa poca acqua quando serve, e troppa tutta insieme quando ormai è troppo tardi. Le conseguenze? Smottamenti, frane, esondazioni e – nei casi più gravi – vite umane spezzate.
Isolati nella crisi: senza reti idriche e con un’agricoltura in ritirata
A differenza delle regioni del continente, dove è possibile interconnettere le aste fluviali, le isole non possono contare su simili soluzioni. La conformazione geografica le penalizza: il deficit idrico è cronico e diventa sempre più drammatico ogni estate che passa.
Il settore agricolo, che potrebbe essere un presidio contro l’abbandono e il degrado del territorio, è invece indebolito dal rapido spopolamento delle aree interne. I campi si svuotano, i giovani se ne vanno, le colture muoiono sotto il sole o marciscono sotto piogge torrenziali. È un circolo vizioso, aggravato dalla frequenza e intensità degli incendi boschivi.
Dalla cenere alla fanga: l’altra faccia degli incendi
Le fiamme che devastano boschi e macchia mediterranea non lasciano solo cenere. Come spiega Ciciliano, la combustione della vegetazione modifica la struttura del suolo, rendendolo più compatto e impermeabile. Questo porta a un fenomeno devastante: l’acqua piovana non viene assorbita, ma scivola via rapidamente, portando con sé terra, fango e detriti.
Il risultato è duplice: il terreno perde la sua capacità di trattenere l’acqua, e diventa inadatto all’agricoltura. È un danno economico diretto e duraturo. E intanto, l’acqua, anziché ricaricare le falde, si perde nei torrenti in piena.
“Il terreno brucia, poi frana”
Ciciliano è netto: i temporali estivi sono difficili da prevedere, e la risposta deve quindi essere la consapevolezza del rischio. Ma sulle isole la fragilità è amplificata anche da un altro fattore: la difficoltà nei soccorsi. In caso di emergenza, i tempi di intervento si allungano. Le isole, ha spiegato, sono ovviamente fragili come le altre realtà, ma possono essere lontane anche dal punto di vista operativo rispetto ai centri di intervento e soccorso.
Negli ultimi dieci anni, sono 23 le dichiarazioni di stato d’emergenza per la Sicilia (incluse le isole minori) e 4 per la Sardegna. Numeri che raccontano di una pressione continua su territori già provati da problemi strutturali.
Tra incendi e siccità: una campagna antincendio senza mezzi
Proprio mentre il rischio incendi aumenta, la campagna antincendio 2025 parte con alcune Regioni – tra cui Umbria, Molise e Puglia – che non dispongono di flotte aeree regionali. Nelle isole, invece, la prevenzione e la “lotta attiva” sono responsabilità dirette delle Regioni, ma le risorse spesso non bastano. Sicilia e Sardegna non sono le uniche regioni italiane a soffrire, ma la loro vulnerabilità è specifica e strutturale. Sono cartine di tornasole di un’Italia che non è pronta alla nuova normalità climatica.
Il problema non è più “se” ci sarà una crisi idrica, una frana o un incendio. È “quando” e “con quali conseguenze”. E in molte aree del Paese, queste risposte stanno già arrivando, sotto forma di campi bruciati, città allagate, lavoratori morti per il caldo, ospedali al collasso.