Mentre l’attenzione pubblica è concentrata sugli effetti più visibili del cambiamento climatico – ondate di calore, incendi, alluvioni, siccità – un altro fenomeno potenzialmente devastante si sta facendo strada sotto i nostri piedi. La fusione accelerata delle calotte glaciali e dei ghiacciai potrebbe non solo innalzare i livelli del mare e alterare gli ecosistemi, ma anche risvegliare vulcani dormienti da millenni.
Una nuova ricerca condotta sul vulcano Mocho-Choshuenco, nella regione delle Ande meridionali del Cile, dimostra che la perdita della copertura glaciale al termine dell’ultima era glaciale fu seguita, dopo alcune migliaia di anni, da un aumento significativo delle eruzioni. Gli studiosi parlano di un incremento di sei volte nell’attività vulcanica in un arco temporale ristretto. Non è un caso isolato. Per la prima volta, si documenta su un’area continentale – lontana dalle dinamiche oceaniche o artiche – una connessione diretta tra la fusione dei ghiacci e il comportamento del magma sotterraneo. Il principio fisico è semplice: quando un ghiacciaio si scioglie, la pressione esercitata dal suo peso sul terreno sottostante si riduce drasticamente. Questo cambiamento di carico può favorire la risalita del magma, con conseguenze esplosive.
Il fenomeno non è sconosciuto. Già dagli anni Settanta in Islanda si sono osservate correlazioni tra il ritiro glaciale e un’intensificazione dell’attività eruttiva. In quel contesto, gli scienziati iniziarono a parlare di “decompressione vulcanica”, una sorta di effetto domino geologico innescato dallo scioglimento dei ghiacci.
Più recentemente, l’attenzione si è spostata sull’Antartide, dove sotto la spessa coltre glaciale si nasconde una cintura vulcanica potenzialmente attiva. Secondo alcuni studi, esistono più di 100 vulcani sepolti sotto la calotta dell’Antartide occidentale. Che, se dovesse continuare a ritirarsi con i ritmi attuali, potrebbero verificarsi scenari preoccupanti. Un’eruzione subglaciale, in un contesto così fragile, potrebbe generare flussi di acqua improvvisi e devastanti, accelerando ulteriormente la fusione dei ghiacci e amplificando il riscaldamento globale attraverso il rilascio di gas serra come CO₂ e metano.
La prospettiva è quella di un circolo vizioso. Il riscaldamento globale provoca la fusione dei ghiacciai, che a sua volta riduce la pressione sui vulcani dormienti. Questi, risvegliandosi, possono emettere grandi quantità di gas climalteranti che alimentano ulteriormente il riscaldamento. Uno scenario da incubo, soprattutto in regioni come le Ande o l’Alaska, dove la combinazione tra ghiaccio e vulcani attivi è tutt’altro che rara. In Cile, per esempio, il vulcano Villarrica ha già perso un quarto del suo manto glaciale negli ultimi decenni, e il Sollipulli mostra segnali di rapido ritiro dei ghiacci, con cambiamenti nelle dinamiche eruttive.
Il caso del Mocho-Choshuenco rappresenta dunque un campanello d’allarme scientificamente solido. I ricercatori dell’Università del Wisconsin-Madison, guidati dal geologo Pablo Moreno-Yaeger, hanno ricostruito le cronologie eruttive del vulcano analizzando gli strati di cenere e i sedimenti lacustri. Il risultato è una chiara correlazione tra il collasso della calotta glaciale patagonica e una nuova fase di intensa attività vulcanica.
Ciò che preoccupa di più è che questi processi non sono confinati al passato geologico. Stanno avvenendo ora. Il riscaldamento globale accelera, accumula energia e innesca reazioni a catena in sistemi complessi come la geosfera. Per questo la ricerca vulcanologica deve diventare una componente essenziale del monitoraggio climatico globale, insieme alla sorveglianza dei ghiacciai e dei livelli marini.