Nel cuore della stagione degli incendi del 2023, oltre 800 residenti della contea di
Lake, in California, una delle regioni del Paese più colpite
dal fuoco, sono stati intervistati per una ricerca. Le domande riguardavano non solo le esperienze personali legate agli incendi, ma anche la percezione del rischio futuro, l’esposizione mediatica e soprattutto lo stato emotivo legato ai cambiamenti climatici. È emerso che l’ansia e lo stress dei residenti sono associati a un aumento dei comportamenti di preparazione alle catastrofi.
Lo studio, pubblicata online su BMJ Mental Health, ha infatti rivelato che chi aveva già vissuto esperienze traumatiche con il fuoco, o era stato esposto frequentemente a immagini e notizie sugli incendi, ha livelli molto più alti di ansia e stress legati al clima. Ma la vera sorpresa sta nel fatto che queste emozioni non si sono tradotte in paura paralizzante. Al contrario, hanno spinto le persone ad agire. Molti degli intervistati avevano infatti predisposto kit di emergenza, accumulato scorte in caso di blackout o manifestato una maggiore disponibilità a evacuare tempestivamente, se richiesto.
“I nostri risultati suggeriscono che un certo livello di ansia legata al cambiamento climatico può essere adattivo”, ha dichiarato la dottoranda Tiffany Junchen Tao, prima autrice dello studio. “In pratica, queste emozioni spingono le persone a prepararsi, a proteggersi e a ridurre i rischi. Tuttavia, è fondamentale distinguere tra una preoccupazione ragionevole e un disagio debilitante”.
Con l’aumento dei disastri legati al clima, comprendere le risposte psicologiche delle comunità vulnerabili è fondamentale, afferma l’autrice senior Roxane Cohen Silver, vicerettore per la ricerca istituzionale, la valutazione e la pianificazione dell’UC Irvine e docente di scienze psicologiche, medicina e salute pubblica.
L’ansia climatica — o “ecoansia”, come viene spesso definita — non è un disturbo mentale riconosciuto, ma è un fenomeno sempre più diffuso, soprattutto tra giovani e comunità esposte a eventi climatici estremi. Anche termini come solastalgia (il dolore legato alla perdita del proprio ambiente) o grief climatico (il lutto per la tristezza, l’ansia, e il dolore provati di fronte alle conseguenze del cambiamento climatico) stanno entrando nel lessico della salute pubblica, segnalando che il riscaldamento globale non ha solo effetti sul pianeta, ma incide profondamente anche sul benessere emotivo delle persone.
Tuttavia, il confine tra una preoccupazione utile e un’angoscia debilitante resta sottile. Per questo, secondo gli autori dello studio, è fondamentale che le istituzioni non si limitino a diffondere allarmi o bollettini meteo, ma offrano anche strumenti psicologici e pratici per affrontare l’incertezza climatica. Serve una comunicazione chiara, una formazione capillare e soprattutto l’accesso a risorse — materiali e mentali — anche per le fasce sociali più vulnerabili.
La ricerca californiana, firmata anche da Kayley Estes, E. Alison Holman e Farshid Vahedifard, fornisce dunque uno spunto prezioso: l’ansia climatica non va sempre ridotta o ignorata, ma capita e incanalata. In un mondo dove gli eventi estremi sono sempre più frequenti — dagli incendi in Nord America alle alluvioni in Europa — imparare a gestire le emozioni può diventare uno degli strumenti più efficaci per proteggere vite e comunità.
La ricerca fornisce spunti che potrebbero contribuire a personalizzare le strategie di preparazione alle catastrofi per le comunità ad alto rischio, in particolare quelle che affrontano difficoltà socioeconomiche. I ricercatori sottolineano l’importanza di fornire risorse per aiutare i residenti svantaggiati a impegnarsi nella preparazione alle catastrofi.
In altre parole, come sottolinea lo studio: la paura, se ben compresa, può diventare azione. E in tempi di crisi climatica, trasformare l’ansia in preparazione può fare la differenza tra la salvezza e il disastro.