Mentre a Roma si torna a parlare di miniere, la Toscana guarda sottoterra con occhi diversi. Non per scavare nuovi buchi nel suolo, ma per valorizzare ciò che già esiste. Il protagonista è il litio, elemento chiave per le batterie delle auto elettriche e per la transizione energetica, sempre più al centro degli equilibri geopolitici ed economici. In Toscana potrebbe essere recuperato non con esplosivi e ruspe, ma dai fluidi caldi della geotermia, una risorsa storica della regione.
La scommessa è cercare nelle “brine” geotermiche – cioè nei fluidi estratti dal sottosuolo per la produzione di energia – una nuova miniera. Ma una miniera pulita. Quei fluidi, una volta utilizzati per alimentare le centrali, vengono reiniettati nel terreno. E proprio lì, nello scarto del processo, si annida il litio. È quanto sta cercando di accertare l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (Arpat), in collaborazione con Rse, centro di ricerca tecnico del settore energetico nazionale.
Uno scarto che potrebbe valere oro
Il ciclo produttivo è noto: le centrali geotermiche estraggono dal sottosuolo un fluido ad alta temperatura, che alimenta turbine e produce elettricità. Finita la corsa, quel fluido – ormai raffreddato – viene reimmesso nel sottosuolo. “Dentro questo scarto c’è il litio”, spiega Pietro Rubellini, direttore generale di Arpat. “Ora stiamo studiando come arricchirlo, per permetterne un’estrazione che sia conveniente anche dal punto di vista industriale”.
Il punto di partenza è la conoscenza del territorio e dei suoi cicli naturali. E il passaggio successivo è cruciale: comprendere in che misura il litio sia realmente presente, quanto sia estraibile, e con quali tecnologie. Ma in Regione prevale l’ottimismo. “È una possibilità concreta che va ovviamente approfondita”, afferma l’assessora all’Ambiente Monia Monni. “Arpat ha raccolto fin da subito la nostra sollecitazione: mentre il governo pensa di riaprire le miniere, noi dimostriamo che esistono strade alternative”.
Geotermia circolare, energia e risorse
Il messaggio politico è forte. Non si tratta solo di una sfida tecnica, ma anche culturale. La geotermia in Toscana non è una novità: è parte della storia energetica del territorio, in particolare nelle aree di Larderello, Radicondoli e Amiata. Quello che cambia ora è l’approccio. Se prima si produceva solo energia, adesso si punta a chiudere il cerchio: produrre energia pulita e, nel contempo, recuperare materiali critici come il litio.
“Sarebbe un esempio virtuoso di economia circolare”, sottolinea Monni. “Soprattutto perché a guidare questo percorso è il settore pubblico, con Arpat, Ispra e altri soggetti terzi. È il pubblico che si assume la responsabilità di capire come rendere i processi produttivi sempre più sostenibili”.
Una sostenibilità che, in questo caso, va letta su due piani: ambientale ed economico. Da un lato si evita di aprire nuove ferite nel territorio con l’attività estrattiva tradizionale, dall’altro si riduce la dipendenza dall’importazione di materie prime, spesso provenienti da aree geopoliticamente instabili o da filiere poco trasparenti.
Litio e autonomia energetica
Il litio non è solo un elemento chimico. È diventato, negli ultimi anni, una leva strategica per il futuro industriale europeo. Le batterie ricaricabili per auto, ma anche per i sistemi di accumulo stazionario legati alle rinnovabili, dipendono dalla disponibilità di questo metallo. E mentre la corsa globale al litio si intensifica, l’Unione Europea ha indicato chiaramente l’obiettivo: aumentare la propria autonomia strategica sulle materie prime critiche.
In questo contesto, l’esperimento toscano assume una valenza che va ben oltre i confini regionali. Se il modello funzionasse, potrebbe rappresentare un’alternativa concreta all’estrazione convenzionale e una risposta industriale tutta italiana a una delle sfide più pressanti del nostro tempo: produrre energia pulita, senza dipendere da altri per costruirne le infrastrutture.
Una sfida aperta tra miniere e innovazione
Il contrasto tra le scelte del governo nazionale – che ha riaperto il dossier sulle miniere – e l’approccio sperimentale toscano non è solo tecnico. È anche una questione di visione. Riaprire vecchie miniere comporta costi ambientali, sociali e paesaggistici rilevanti, soprattutto in territori già fragili. Al contrario, valorizzare gli scarti di processi produttivi esistenti – come la geotermia – rappresenta una scommessa sull’innovazione, sull’efficienza e sul ruolo della ricerca pubblica.
L’ultima parola spetterà ai dati. Quanto litio c’è davvero nelle brine? Con quali tecnologie lo si può estrarre? E a quali costi? Ma il percorso tracciato dalla Toscana ha già un valore in sé: dimostrare che la transizione ecologica può essere anche un’occasione per ripensare i nostri modelli produttivi, anziché replicare vecchi schemi.