L’inchino a Trump non paga. Il premier francese François Bayrouha ha parlato di un “giorno buio” e di “un’Europa che si rassegna alla sottomissione” agli Usa. ll cancelliere tedesco Merz di “danni enormi”. Mezza Europa si è già pentita dell’accordo capestro sui dazi e la dinamica dei fatti che si è innescata lascia pensare che il dissenso crescerà. Ursula von der Leyen ha accettato il ricatto basato sull’imposizione del vecchio ordine sperando di pagare il pizzo e di andare avanti minimizzando i danni. Ma il calcolo è sbagliato per due motivi.
Il primo è che il wrestling di Trump non ammette pacificazioni, ha bisogno di uno spettacolo cruento senza soste per alimentare giorno dopo giorno ondate di odio che sopiscano la ragione. Ogni accordo con lui è firmato sull’acqua: ha già detto che può alzare la posta in ogni momento, spingendo il ricatto più in là se non verrà soddisfatto dall’applicazione dell’accordo. Dunque l’orizzonte di certezza di cui le imprese hanno bisogno non esiste e la definizione del gioco delle esenzioni può essere l’occasione di riaprire la contesa.
Il secondo è che Trump risponde alle forze economiche che vogliono bloccare l’innovazione tecnologica, la costruzione della sicurezza climatica, la transizione green. Non solo ha aggredito le Nazioni Unite e sabotato la scienza del clima, ma ora vuole imporci l’acquisto massiccio del gas: impedire la nostra disintossicazione dai fossili, costringerci a cambiare fornitore passando dalla dipendenza dal Cremlino a quella dalla Casa Bianca. Così l’Europa resterebbe un mercato acefalo, senza indipendenza energetica e senza autonomia strategica.
L’accordo raggiunto in Scozia prevede dazi triplicati (da meno del 5% al 15) e l’ufficializzazione di una sudditanza economica nei settori chiave. L’Unione Europea si è impegnata a comprare negli Stati Uniti, nei prossimi 3 anni, 750 miliardi di dollari di combustibili fossili e di tecnologie nucleari. Calcolando i volumi attuali, vuol dire che l’Europa accetta di diventare una colonia energetica. Aggiungendo il vassallaggio nel campo dei microchip e delle armi.
“L’accordo è totalmente asimmetrico”, scrive Lucrezia Reichlin sul Corriere della sera. “L’Europa non ottiene nulla, ad eccezione della promessa di non essere colpita ancora più pesantemente e su questo non c’è alcuna garanzia. Non ne esce meglio dell’ultra conciliante Giappone e fa peggio di una economia molto più piccola e vulnerabile come il Regno Unito. Inoltre, il patto smaschera la ipocrisia di chi, a parole, difende il multilateralismo, ma, di fatto, accetta di siglare un accordo che viola le regole dell’organizzazione Mondiale del Commercio (Wto). È un’intesa che mostra in modo inequivocabile la sua debolezza”. Il collasso della tenuta del continente arriva, aggiunge Reichlin, a causa del primo cedimento, la rinuncia a impiegare lo Strumento anticoercitivo (Aci) per rispondere alle minacce di Trump.
Questo è il punto. L’Europa ha un deficit di leadership e di convinzione: avrebbe bisogno di un coach. È vero che aveva una posizione negoziale difficile a causa del surplus della bilancia commerciale, ma non ha giocato la partita perché è rimasta impantanata nel vecchio ordine mentale del Novecento: l’alleanza atlantica e i combustibili fossili come motore dell’economia. La realtà del ventunesimo secolo è diversa. La Nato si sta dissolvendo non perché ha vinto lo slogan del Sessantotto “buttiamo a mare le basi americane”, ma perché gli americani se ne sono di fatto andati: erano i difensori dell’Europa, ora minacciano di occuparne anche con la forza una parte (vedi alla voce Groenlandia). E i fossili sono in declino non perché si sono esauriti i giacimenti, ma perché si è esaurita la capacità degli ecosistemi di ammortizzare l’effetto dei gas serra.
Inoltre non possiamo più giocare la partita economica e commerciale con un unico partner perché l’equilibrio globale è cambiato e sono emersi nuovi protagonisti: trattare a tutto campo per l’Europa sarebbe più conveniente che lasciarsi soffocare dal bullismo di Trump.
Per farlo occorre liberarsi mentalmente dalla logica del Novecento. Avviare alleanze strategiche diversificate e rilanciare un’economia basata sull’innovazione green permetterebbe all’Unione Europea di assumere una posizione centrale in un rilancio del multilateralismo e di rafforzarsi nei nuovi mercati che crescono a livello globale. L’alternativa esiste. Ed è più conveniente.