1 Agosto 2025
/ 29.07.2025

Perfino Trump smentisce Netanyahu: “A Gaza si muore di fame”

Il premier israeliano continua a definire “falsa” l’accusa di usare la fame come arma di guerra, ma le immagini che arrivano dagli schermi rivelano una realtà inequivocabile: il numero dei bambini palestinesi uccisi dalla fame continua a crescere

Perfino il principale alleato di Benjamin Netanyahu è stato costretto a smentirlo. Perfino per Trump, che ama proiettare una realtà a sua immagine e somiglianza, costruita attorno alla sua persona, negare che nella Striscia di Gaza si muoia di fame è troppo. Mentre il premier israeliano continua a negare l’esistenza di una carestia, definendo “falsa” l’accusa di usare la fame come arma di guerra, il presidente americano è stato costretto ad ammettere: “A Gaza c’è molta gente affamata. Netanyahu deve garantire che riceva il cibo”.

Incalzato dai giornalisti, ha commentato le immagini televisive dei bambini drammaticamente denutriti: “Non so, sulla base di quello che vedo direi che non sono particolarmente d’accordo con Netanyahu, quei bambini sembrano molto affamati”.

Un’ammissione pesante

Un’ammissione che nasce dalla valutazione del sentire comune. Ignorare la crisi umanitaria sta diventando politicamente insostenibile anche per chi, come lui, ha sempre appoggiato la linea dura israeliana. Di qui la decisione annunciata di attivare “centri per la distribuzione del cibo” privi di recinzioni, per facilitare l’accesso degli aiuti.

Un’iniziativa che, se attuata, rappresenterebbe un riconoscimento de facto della gravità della situazione e un’ammissione implicita del ruolo di Israele nell’aggravare la situazione che ha portato alla gravissima carestia.

Sul fronte opposto, Netanyahu insiste: “Non c’è carestia a Gaza, non c’è una politica della fame”. Una dichiarazione che suona sempre più isolata, mentre agenzie umanitarie, ONG, medici e testimoni raccontano una realtà ben diversa. A pesare sono le immagini diffuse di bambini pelle e ossa, gli elenchi di vittime della fame che si allungano, gli ospedali bombardati e al collasso.

Il nodo palestinese

A completare il quadro, c’è la questione del riconoscimento dello Stato palestinese. Starmer è sotto pressione in Gran Bretagna, con un’opinione pubblica che preme per seguire l’esempio degli altri Paesi europei che hanno aderito al riconoscimento. La pressione internazionale cresce e con l’imminente adesione della Francia, saranno 148 i Paesi che riconoscono lo Stato di Palestina, una larghissima maggioranza.

La frattura interna a Israele

E anche all’interno di Israele qualcosa si muove. Le immagini della fame a Gaza, trasmesse persino dalle reti mainstream come Canale 12, stanno spaccando l’opinione pubblica. “Forcibly Involved”, l’archivio in ebraico fondato dalla psicologa Adi Ronen Argov, raccoglie le immagini delle vittime palestinesi e ha dato un volto al dissenso. Cartelloni con i volti dei bambini uccisi spuntano agli incroci di Tel Aviv, nei parchi di Gerusalemme, davanti alle basi militari.

Il dissenso, ormai, non si ferma più al campo pacifista: cresce tra i riservisti che bruciano le lettere di richiamo, tra gli studenti, tra i soldati (con un’impennata nei suicidi), tra i rettori delle università che scrivono al governo per denunciare una “crisi della fame” che colpisce “bambini e neonati”. L’ONG israeliana B’Tselem ha rotto ogni reticenza: “Quello che accade a Gaza è genocidio”.

Il rifiuto morale si estende. L’ex premier Ehud Barak ha lanciato un appello alla disobbedienza civile e allo sciopero generale: “Questo governo ci sta trasformando in uno Stato paria”. E persino Dani Dayan, presidente dello Yad Vashem – custode della memoria dell’Olocausto – ha rotto il silenzio: “Ci sono molti uomini, donne e bambini senza alcun legame con il terrorismo che stanno subendo devastazione. La nostra tradizione morale ci obbliga a non voltare le spalle”.

Un intervento che pesa, anche simbolicamente: “L’Europa non è solo una meta turistica, è il luogo da cui in parte veniamo. La guerra a Gaza sta diventando una minaccia all’identità di Israele”.

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