Alla fine, anche il Regno Unito ha deciso di rompere gli indugi. Dopo settimane di silenzi, pressioni interne e telefonate diplomatiche, il premier britannico Keir Starmer ha annunciato che Londra è pronta a riconoscere lo Stato di Palestina. Lo farà a settembre, davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Salvo che Israele – ha precisato – non compia “progressi sostanziali” verso il cessate il fuoco a Gaza e non rimuova almeno alcune delle condizioni che rendono “spaventosa” la situazione umanitaria nella Striscia.
Una presa di posizione che pesa. Perché arriva dal secondo Paese del G7 – dopo la Francia – e dal secondo membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu a compiere un passo di questa portata. E che, inevitabilmente, agita le acque di una diplomazia già in fibrillazione da mesi.
L’annuncio non è stato improvviso. Starmer ha richiamato d’urgenza i suoi ministri dalle vacanze per una riunione straordinaria, sintomo di quanto il tema fosse diventato scottante anche all’interno del Labour. “È il momento di agire – ha dichiarato – per dare un segnale forte a favore della soluzione dei due Stati, proprio ora che questa prospettiva è più a rischio che mai”.
Un annuncio condizionato, certo. Ma comunque storico. E che ha scatenato reazioni opposte: “Starmer premia il terrorismo di Hamas e punisce le vittime”, ha tuonato il premier israeliano Benyamin Netanyahu, parlando di un “futuro Stato jihadista” che oggi minaccia Israele e domani potrebbe minacciare la stessa Gran Bretagna.
Dall’altra parte, Parigi ha accolto con favore la notizia. Macron, che aveva provato per mesi a convincere Londra e Berlino a muoversi insieme, ha parlato di un “ritorno alla prospettiva di pace”. A ruota, è arrivata la decisione di Malta: anche il piccolo Stato insulare riconoscerà ufficialmente la Palestina a settembre.
L’appello di New York e l’asse europeo
Il passo di Londra arriva pochi giorni dopo un appello collettivo lanciato a New York da 15 Paesi, tra cui Francia, Canada, Australia, Norvegia, Irlanda, Finlandia e Spagna. Una dichiarazione congiunta, letta come un messaggio chiaro: è ora che il mondo riconosca l’esistenza dello Stato palestinese.
Non tutti i Paesi firmatari hanno già formalizzato il riconoscimento. Ma molti – come Australia, Canada, Nuova Zelanda e Portogallo – hanno dichiarato apertamente di volerlo fare al più presto. Si tratta, in gran parte, di democrazie occidentali che stanno cercando di rilanciare la formula dei “due Stati” in una fase in cui il conflitto israelo-palestinese ha raggiunto livelli drammatici, con oltre 60mila morti stimati solo a Gaza.
Missione diplomatica a Gerusalemme
Intanto Francia, Germania e Regno Unito stanno preparando una missione diplomatica congiunta a Gerusalemme. I ministri degli Esteri dei tre Paesi – che su questo tema sembrano aver trovato un inedito asse post-Brexit – voleranno in Israele giovedì prossimo per presentare una posizione comune: stop ai bombardamenti, via libera agli aiuti umanitari e riapertura del dialogo politico.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha confermato la visita, aggiungendo che i tre governi vogliono “mostrare unità” e inviare un segnale alla comunità internazionale. Londra, nel frattempo, ha già riattivato i corridoi umanitari e ha inviato aiuti aerei verso Gaza, seguendo l’esempio di Berlino e Parigi.
Italia al bivio
E Roma? L’annuncio britannico ha riacceso il dibattito anche in Italia, dove l’opposizione chiede a gran voce che il governo Meloni si allinei alle scelte di Parigi e Londra. “Che aspetta l’Italia a riconoscere lo Stato di Palestina?”, ha chiesto la capogruppo Pd alla Camera Chiara Braga. Sulla stessa linea anche Movimento 5 Stelle e Verdi-Sinistra.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ribadito la posizione italiana: “Non sono contrario in linea di principio, ma uno Stato deve avere un popolo e un territorio definito. Oggi queste condizioni non ci sono. E non possiamo certo riconoscere Hamas, che è un’organizzazione terroristica”.
La premier Giorgia Meloni ha bollato il riconoscimento unilaterale come “controproducente”, spiegando che “non si può riconoscere qualcosa che non esiste sulla carta”. Ma a smentirla è arrivata – seppur indirettamente – la Santa Sede. Il cardinal Pietro Parolin ha ricordato che il Vaticano ha già riconosciuto la Palestina anni fa e che “non è prematuro farlo”.
Trump, silenzio e fastidio
E gli Stati Uniti? Al momento restano defilati. Donald Trump, interpellato dai giornalisti a margine di un evento in Scozia, ha liquidato la questione con un laconico “non ne abbiamo parlato e non abbiamo un’opinione”. Un segnale che, almeno per ora, la Casa Bianca non intende seguire l’esempio europeo.
Tuttavia, il passo del Regno Unito – tradizionale alleato di Washington – potrebbe cambiare gli equilibri anche oltreoceano.
A pochi mesi da un altro autunno diplomatico caldo, l’Europa sembra voler tornare protagonista nel dossier mediorientale. E lo fa scegliendo una strada chiara: quella del riconoscimento di uno Stato palestinese come leva per il cessate il fuoco e per il rilancio della soluzione dei due Stati.
Il Regno Unito ha tracciato la linea. Ora gli occhi sono puntati su Berlino, Roma – e naturalmente – su Gerusalemme.