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Cronaca, Società

Candidati indisponibili, continua a mancare il personale nel terziario

01.07.2023

I dati di Confcommercio, Eurostat, Osservatorio Innovazione Digitale del Politecnico e Ispettorato Nazionale del Lavoro, certificano un problema che impatta una fetta enorme del nostro tessuto sociale. Ecco le vere cause.

Ovunque si cerca personale nel terziario. Dai grandi centri commerciali ai negozi al dettaglio. Dai bar e ristoranti ai servizi turistici. A cosa è dovuta questa carenza? La questione è ampiamente dibattuta, tra datori di lavoro che denunciano grosse difficoltà ad assumere personale e aspiranti candidati che rinunciano a potenziali assunzioni, a fronte di condizioni che non sono disposti ad accettare. Il fenomeno è complesso, e cercare la verità assoluta in una o nell’altra posizione sarebbe una missione impossibile e un esercizio superficiale. Cerchiamo quindi di capire i motivi dietro questo stallo apparentemente senza soluzione.

Partiamo da un dato, imprescindibile per inquadrare il problema. Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, ha recentemente sottolineato che il 76,4% della forza lavoro in Italia è impiegata proprio nel settore terziario. Nonostante questo, a inizio giugno i settori del turismo e del commercio denunciavano un calo di lavoratori rispetto al 2022 di ben 560 mila unità. La questione è strutturale, e lega tra loro i delicati ambiti di istruzione, formazione e della struttura vera e propria del mondo lavorativo in Italia. Il tutto accompagnato da un fenomeno sociale comunque ampiamente presente, come il conflitto generazionale.

In Italia, storicamente, la preparazione universitaria è di altissimo livello. Questo aspetto riguarda in particolare i settori altamente qualificati in ambito di ricerca e sviluppo in medicina, ingegneria e le varie scienze. La conseguenza è che dagli atenei esce personale altamente qualificato e specializzato, che però mal si sposa con l’impalcatura lavorativa del Paese. L’offerta di questo tipo di professionisti è importante, a fronte di una domanda molto più bassa. Il motivo? Basta analizzare il tessuto lavorativo che va per la maggiore in Italia, e che è composto da medie, piccole e piccolissime imprese.

L’Osservatorio Innovazione Digitale PMI della School of Management del Politecnico di Milano ha rilevato che in Italia le imprese attive sono circa 4,4 milioni. Di esse, il 95,13% è costituito da «microimprese» (che hanno quindi sotto contratto meno di 10 addetti). Le grandi imprese coprono invece appena lo 0,09% della totalità, mentre le fatidiche PMI (piccole e medie imprese) sono circa 211 mila. Ossia il restante 4,78% del tessuto imprenditoriale italiano. Queste realtà, da sole, coprono il 41% dell’intero fatturato generato in Italia, il 33% dell’insieme degli occupati del settore privato e il 38% del valore aggiunto del Paese. Numeri da cui partire per provare a capire le ragioni profonde della crisi del lavoro.

Un Paese ancora profondamente manifatturiero come il nostro, infatti, difficilmente dà spazio a professionisti super qualificati. Le aziende, in particolare se sono molto piccole, si concentrano su un numero di servizi o prodotti molto limitati. Un fenomeno valido a maggior ragione per il settore del terziario. L’esigenza, costante e che spesso cade nel vuoto, è infatti quella di assumere personale con specifiche competenze, che però il precedente percorso di studi non ha mai provveduto a fornire. Per tutti questi motivi sono state individuate alcune possibili soluzioni, che analizzeremo nella seconda parte della nostra trattazione.

– LEGGI LA SECONDA PARTE DELL’ARTICOLO –

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