Oggi, più che mai, l’acqua non è solo una questione ambientale, ma anche economica, sociale e geopolitica. Secondo uno studio congiunto del World Economic Forum e McKinsey, il 60% del Pil globale dipende direttamente o indirettamente dall’acqua e dagli ecosistemi di acqua dolce. Una cifra che da sola basterebbe a spiegare perché la crisi idrica globale rappresenta una delle maggiori sfide del nostro tempo.
Un sistema sotto pressione
Il sistema idrico mondiale è sempre più sbilanciato, con circa 4 miliardi di persone che ogni anno affrontano una grave emergenza legata alla scarsità d’acqua. Con l’aumento delle temperature globali, tra i 3 e i 4 miliardi di persone sarebbero costretti ad affrontare un’emergenza idrica ancora più acuta. Allo stesso tempo, le precipitazioni sono diventate più estreme e irregolari: 709 milioni di persone vivono in aree dove le piogge sono aumentate in intensità, mentre 86 milioni affrontano il fenomeno opposto. Il risultato? Piogge violente, inondazioni, frane, siccità e un costante degrado della qualità dell’acqua.
Le catastrofi legate all’acqua – come alluvioni e ondate di siccità – sono responsabili di oltre la metà dei decessi causati da disastri naturali. Ma non si tratta solo di vite umane: la vulnerabilità idrica comporta anche un rischio economico gigantesco, con 77 miliardi di dollari a rischio nella sola catena di approvvigionamento di settori chiave come l’agroalimentare, la manifattura e i materiali.
L’acqua come motore (invisibile) dell’economia
L’acqua è ovunque, anche dove non la immaginiamo. Serve per irrigare i campi, raffreddare i data center, raffinare materiali, produrre farmaci, costruire automobili, persino per sostenere la crescita dell’intelligenza artificiale. Ogni attività industriale, in un modo o nell’altro, è legata all’acqua. Secondo il report, il valore economico annuale dell’acqua si aggira attorno ai 58.000 miliardi di dollari, il che equivale a quasi due terzi del Pil mondiale.
Nel 2023, 25 Paesi che ospitano circa un quarto della popolazione mondiale hanno già raggiunto livelli estremi di stress idrico, ovvero prelievi superiori all’80% delle risorse rinnovabili. Tra questi, l’India, con 1,4 miliardi di persone, ma anche giganti economici come Cina e Stati Uniti stanno affrontando un uso insostenibile delle risorse idriche.
L’altra faccia della crescita: domanda in aumento, risorse in calo
Mentre la disponibilità pro capite d’acqua diminuisce – in Cina, ad esempio, è scesa del 50% in mezzo secolo – la domanda globale continua a crescere. Il prelievo procapite è aumentato di oltre il 650% negli ultimi trent’anni. E non solo per l’agricoltura, che ancora oggi consuma il 70% dell’acqua dolce globale, ma anche per nuove esigenze industriali, come i centri dati, fondamentali per il mondo digitale. Un singolo data center da un megawatt può usare oltre 25 milioni di litri d’acqua all’anno solo per il raffreddamento: quanto basta per soddisfare il fabbisogno giornaliero di 300.000 persone.
Il rischio di un punto di non ritorno
La competizione per l’acqua è già realtà. Agricoltura, industria, centri urbani e ambiente naturale si contendono la stessa risorsa. Se questo squilibrio continuerà, il rischio è quello di superare un punto di non ritorno. Senza interventi, entro il 2050 i Paesi ad alto reddito potrebbero perdere fino all’8% del loro Pil, mentre quelli a basso reddito rischiano un crollo del 10 -15%.
Ma c’è anche una notizia positiva: agire si può, e gli investimenti necessari sono noti. Il World Resources Institute stima che la gestione sostenibile dell’acqua richiederà circa 1.040 miliardi di dollari l’anno fino al 2030. È una cifra enorme, certo, ma gestibile se confrontata con il valore economico dell’acqua stessa. E soprattutto, è una spesa che può diventare opportunità: si stima che il settore privato possa contribuire per oltre il 55% del capitale necessario, facendo leva su innovazioni tecnologiche e strategie di resilienza idrica.