I dubbi tecnici, economici, scientifici e ambientali non contano. Il Ponte sullo stretto di Messina è, per il governo Meloni e in generale per il centrodestra, un atto di fede nelle Grandi Opere. In particolare da Berlusconi ad oggi è sempre stata vista come un’opera salvifica, che crea sviluppo e consenso. Buona “in sé”. Il punto di chi si oppone all’opera – storicamente la sinistra e gli ambientalisti – è anche e soprattutto che rischia di essere un cattedrale nel deserto e che sarebbe stato meglio investire quei soldi in un’opera di potenziamento delle infrastrutture delle due regioni interessate. Un esempio? In Sicilia su 1.405 chilometri di rete ferroviaria, 1.267 sono a binario unico (l’85%) e ben 689, pari al 46,2% non sono elettrificati. Quanto alla Calabria la rete ferroviaria a binario unico è di 686 km, pari al 69% del totale e quella elettrificata è circa la metà. Il ponte rischia di collegare due reti obsolete e lente.
Ci sono poi i dubbi sul suo senso economico. Il costo globale dell’opera è di 13,5 miliardi di euro, dei quali “solo” circa 4,2 miliardi andranno alla “Sovrastruttura opera di attraversamento”, cioè al ponte sospeso a campata unica. Altri 5,2 miliardi sono destinati a “lavori relativi alle sottostrutture dell’opera di attraversamento, ai collegamenti stradali e ferroviari”. Si tratta di componenti fondamentali del ponte: torri, fondazioni, ancoraggi, e tratti di raccordo. Senza, l’opera sarebbe inutilizzabile. Quasi 3 miliardi sono classificati come “altri costi”, e secondo l’analisi costi-benefici sono comunque “accessori alla realizzazione del progetto”.
La metropolitana
Ci sono poi opere compensative tra le quali un Centro direzionale firmato dall’architetto Daniel Libeskind che ospiterà le attività di gestione, controllo e manutenzione del ponte, e l’edificio comprenderà anche un centro commerciale, un hotel e un centro per le conferenze. E c’è la cosiddetta “metropolitana dello Stretto” che consiste in tre nuove fermate ferroviarie sotterranee sul versante siciliano, collegate alle stazioni di Villa San Giovanni, Reggio Calabria e Messina. Da qui il conto di 13,5 miliardi di euro. Che, come accade in quasi ogni opera pubblica, rischia di decollare negli anni. “I 13,5 miliardi – ha dichiarato a Qn Marco Ponti, economista dei trasporti, già ordinario di Economia Applicata al Politecnico di Milano – sono una stima fragilissima, perché non c’è ancora un progetto esecutivo che è l’unico che consente il computo metrico, cioè un’analisi approfondita dei costi di costruzione”.
E gli ambientalisti non hanno certo cambiato idea e non solo per gli effetti negativi del ponte sull’avifauna, o l’impatto delle opere sul dissesto idrogeologico. E’ anche un problema di priorità nell’allocazione delle (poche) risorse disponibili nel Paese. “Le Associazioni Greenpeace, Lipu, Legambiente e WWF Italia – hanno commentato all’indomani dell’approvazione da parte del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipess) – giudicano la decisione del Ponte un vero e proprio azzardo, sia per motivazioni economiche sia per il quadro d’incertezza del progetto che rimanda alla fase progettuale esecutiva test dirimenti ed analisi essenziali. Come si è sempre dato per scontato il parere della Commissione VIA, oggi si dà già per acquisito il parere della Corte dei Conti che, invece, ancora deve pronunciarsi”.
“Un progetto stimato a 13,5 miliardi di euro – proseguono gli ambientalisti – non è stato mai valutato in termini di terzietà: per il Ponte si sottraggono fondi destinati ad alleviare le disparità economiche e sociali e a promuovere lo sviluppo equilibrato del territorio. L’opera non ha nulla a che fare col sistema trasportistico. Una radicale revisione del sistema dell’attraversamento dinamico dello Stretto, con traghetti e aliscafi nuovi, a bassissimo impatto ambientale, magari appositamente progettatati sulle dimensioni dei nuovi treni ad alta velocità, con i punti di attracco ristrutturati e resi più efficienti, costerebbe un terzo del Ponte e garantirebbe una mobilità più flessibile e idonea alle esigenze del territorio e non solo”.
“Greenpeace, Legambiente, Lipu e WWF Italia – concludono – hanno correttamente denunciato gli impatti ambientali irreversibili e non mitigabili che per anni sono stati negati. Ne è prova la stessa valutazione d’impatto ambientale che per essere positiva ha dovuto andare in deroga per ragioni di presunti motivi imperativi di rilevante interesse pubblico che hanno descritto un’opera dall’effetto miracolistico. Ma per noi la battaglia continua. Ricorreremo ancora una volta in tutte le sedi, affinché lo scempio non si compia e non si buttino via miliardi di euro in un’opera inutile, mentre il sistema del trasporto pubblico dell’intero Paese si trova in condizioni sempre più insostenibili”.
Ma il mantra di chi è favorevole è che il ponte sarà comunque un affare per il Paese. L’analisi costi-benefici dell’opera, redatta dal Centro di Economia Regionale, dei Trasporti e del Turismo (CERTeT) dell’Università Bocconi e aggiornata a fine dicembre 2023, è il documento disponibile sul sito della Società Stretto di Messina e secondo questa valutazione, i benefici generati dal progetto sarebbero superiori ai costi: “Evidenziando come il Progetto, remunerati tutti i fattori produttivi al tasso del 3% reale, sia in grado di generare un valore attuale netto economico di 3,9 miliardi”. Tuttavia, altre analisi giungono a conclusioni differenti. Ad esempio, secondo Francesco Ramella, direttore esecutivo di Bridges Research (un centro studi specializzato in politiche dei trasporti), i costi supererebbero i benefici, rendendo il bilancio complessivo dell’opera negativo.
La capacità di resistenza
Capitale è poi la questione della resistenza del ponte a campata unica non tanto al vento (qui i calcoli sembrano essere stati fatti con un giusto principio di precauzione e il margine è ampio, più del doppio dei venti più intesi che si registrano in zona), quanto ai terremoti. Su questo è stato molto chiaro il sismologo Carlo Doglioni, per due mandati presidente dell’Ingv e quindi studioso più che autorevole: il Ponte sullo Stretto, per come è progettato oggi, potrebbe non reggere un terremoto simile a quello dell’Aquila del 2009 o di Amatrice del 2016. Anche se la magnitudo dei due sismi recenti è stata rispettivamente di 6.3 e 6, ben più bassa della 7.1 che caratterizzò secondo le ricostruzioni il terremoto di Messina del 1908, il Ponte potrebbe essere troppo debole per resistervi.
“La magnitudo misura la forza, quindi l’energia di un terremoto. Ma ciò che crea i danni agli edifici è lo scuotimento del terreno”, ha spiegato Carlo Doglioni in una intervista a Repubblica. “Questo valore viene misurato sotto forma di accelerazione massima del suolo al momento della scossa. All’Aquila o ad Amatrice si sono raggiunti valori vicini all’accelerazione di gravità. Il progetto attuale del Ponte invece prevede che le torri e gli ancoraggi delle funi resistano a un valore che è solo il 58% dell’accelerazione di gravità: più basso di quel che abbiamo misurato in molte scosse recenti in Italia e nel mondo”.
I due criteri di giudizio
Perché un valore così basso è considerato accettabile? Perché si è calcolato qual è l’accelerazione del suolo che ha una probabilità superiore al 2% di verificarsi nei prossimi duecento anni. “Questo tipo di calcolo – ha sottolineato Doglioni – si chiama probabilistico. Nel mondo, se per esempio si vuole costruire un’infrastruttura critica come una centrale nucleare, si fa invece un altro tipo di ragionamento. Ci si chiede: qual è l’accelerazione massima che possiamo aspettarci, in base alle nostre conoscenze della geologia e delle faglie attive? Questo calcolo si chiama deterministico o di scenario e dà valori di accelerazione massima del suolo nettamente superiori rispetto al calcolo probabilistico. Costringe legislatori e ingegneri a lavorare con regole più severe. Ma ha più senso, se si vuole che gli edifici restino in piedi”. E questo è il punto. Auguriamoci di non dover scoprire un giorno che si sono scelti criteri inadeguati ad un territorio così sismico.