Il Vietnam si è svegliato questa mattina contando i danni lasciati dal tifone Kajiki. Tre persone morte, tredici ferite, oltre un milione e mezzo di abitazioni senza elettricità. Case scoperchiate, strade sommerse, villaggi isolati nelle zone montuose. Le immagini arrivate da Vinh e da Hanoi mostrano soccorritori e soldati che cercano di farsi strada tra i detriti: alberi abbattuti, lamiere divelte, acqua che invade le carreggiate.
Kajiki ha colpito con venti fino a 130 km/h e, anche una volta degradato a depressione tropicale, ha continuato a scaricare piogge torrenziali sul nord del Laos, bloccando ferrovie e collegamenti stradali. In Vietnam, intanto, le autorità hanno evacuato più di 44.000 persone, temendo frane e inondazioni improvvise in otto province. Per un Paese che negli ultimi sette mesi ha già contato oltre cento vittime legate a disastri naturali, è un’altra ferita che si aggiunge a una lunga lista.
Ma il punto non è solo l’emergenza immediata. Quelle che arrivano dal Vietnam sono istantanee che raccontano un tempo in cui i disastri naturali sono diventati la nuova normalità. Il tifone Kajiki diventa un simbolo del tempo in cui viviamo: un tempo in cui il clima cambia più in fretta della nostra capacità di adattarci. Gli scienziati non hanno dubbi: oceani più caldi significano tempeste più potenti, con piogge più violente e percorsi sempre meno prevedibili. Nei tropici, e in particolare nel Sud-est asiatico, questo si traduce in tifoni come Kajiki, pronti a trasformarsi in disastri umani e sociali. Kajiki non è un’anomalia: è l’ennesima conferma che il clima sta cambiando e che la crisi ambientale non è più un capitolo relegato ai rapporti scientifici, ma una realtà che plasma la vita quotidiana di milioni di persone.
Il Vietnam, con i suoi lunghi litorali e i delta del Mekong e del Fiume Rosso, è uno degli epicentri di questa vulnerabilità. Qui l’innalzamento del livello del mare minaccia milioni di persone, mentre l’urbanizzazione rapida rende le città ancora più fragili agli allagamenti. Non è un caso che l’Ipcc avverta: se le emissioni non verranno ridotte drasticamente, il rischio di inondazioni estreme nella regione potrebbe crescere fino al 50% entro la metà del secolo. Certo, le autorità vietnamite hanno imparato a gestire le emergenze meglio che in passato. I sistemi di allerta e le evacuazioni rapide hanno salvato migliaia di vite.
Il Vietnam paga un prezzo altissimo, ma non è l’unico. I tropici, l’Africa subsahariana, le piccole isole del Pacifico: sono i luoghi meno responsabili delle emissioni globali e al tempo stesso i più colpiti. È questa la grande ingiustizia climatica del nostro tempo. Mentre le economie ricche discutono piani di transizione e strategie di compensazione, comunità vulnerabili combattono ogni anno con tifoni, alluvioni e siccità che cancellano raccolti e vite.
Per questo il dibattito non può più fermarsi ai bilanci delle catastrofi. Kajiki se ne è andato, lasciando dietro di sé macerie e silenzio. Ma la sua voce resta. Ed è un avvertimento che non possiamo più permetterci di ignorare.