Irrilevanza. Se dovessimo sintetizzare in una parola il ruolo dell’Europa negli ultimi 2 o 3 anni questa è la più centrata. E la più utilizzata. La voce più autorevole è stata quella di Mario Draghi. Pochi giorni fa, al Meeting di Rimini, ha detto l’Unione Europea si sta trasformando in un mero “spettatore” sul palcoscenico mondiale, incapace di reagire con forza a sfide come i dazi americani o a influenze geopolitiche sempre più pesanti da parte di Stati Uniti e Cina: “Per anni, l’Unione Europea ha creduto che la sua dimensione economica, con 450 milioni di consumatori, le avrebbe conferito potere geopolitico e influenza nelle relazioni commerciali internazionali. Quest’anno sarà ricordato come l’anno in cui questa illusione è svanita”.
E perfino le massime autorità dell’Unione Europea sono costrette ad arrendersi di fronte all’evidenza dei fatti. “Abbiamo bisogno di un’Europa più forte che promuove la pace, e come ha detto Draghi, la forza economica è il suo soft power ma non è più sufficiente: lo status quo non può bastare. Noi siamo davanti al bivio: o cambiamo o siamo destinati all’irrilevanza”, ha ammesso Roberta Metsola, presidente del Parlamento Europeo.
Ma i fatti divergono dalle parole. L’analisi è talmente chiara da non lasciar spazio ad equivoci. La dimensione commerciale non è più sufficiente a dar peso all’Europa in un mondo che cambia rapidamente trovando nuovi equilibri geopolitici. Serve una politica estera. E un aumento della capacità di difesa che però non può avvenire a spese del welfare e dell’innovazione ambientale che sono gli asset del continente, la base del suo soft power.
Un soft power che si sta indebolendo a causa di una campagna capillare di fake news mirata al ribaltamento della realtà, un processo analogo a quello che ha posto Trump al vertice degli Stati Uniti. Anche in Europa il fronte fossile nega l’evidenza del danno climatico e dei suoi effetti che, come dimostrato da innumerevoli rapporti scientifici, colpiscono in modo particolare i più poveri, quelli che hanno meno strumenti per difendersi dagli eventi estremi e dai picchi di caldo. La transizione ecologica non è roba da ricchi ma (anche) l’autodifesa dei poveri: esattamente l’opposto della propaganda con cui le destre stanno assaltando la democrazia americana e provano a minare quella europea.
Il paradosso è che se l’Unione Europea continuasse a premere il freno sulla transizione ecologica si escluderebbe automaticamente dai mercati in crescita. Il vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco) che si è aperto ieri in Cina dà la misura dell’effetto prodotto dalla presidenza Trump e dall’irrisolutezza europea. A pochi mesi dal cambio alla Casa Bianca il fronte dei Paesi che si aggregano in funzione antioccidentale è sensibilmente cresciuto.
Vladimir Putin è stato accolto con tutti gli onori da Xi Jinping, anche perché gli scambi commerciali tra Russia e Cina sono aumentati di due terzi dall’inizio della guerra in Ucraina: “Facciamo danzare insieme il drago e l’elefante” ha proposto Xi. E il primo ministro indiano Narendra Modi è atterrato a Tianjin, nel suo primo viaggio in Cina da sette anni, segnando un disgelo nei rapporti tra Pechino e Nuova Delhi. I membri dello Sco sono 10 (Russia, Bielorussia, Cina, India, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Pakistan, Tagikistan e Uzbekistan) e rappresentano un quarto del Pil globale.
Ma calcolando che buona parte dell’Africa e dell’America latina sono allineate a questo blocco, si può dire che l’assieme dei Paesi che si contrappone all’arroganza della Casa Bianca è diventato largamente maggioritario in termini di popolazione e si avvia a diventarlo anche in termini di Pil. La continua aggressione commerciale di Trump e il suo via libera alla colonizzazione israeliana dei territori palestinesi accelerano il processo. E danno allo Sco (l’anti Nato) la possibilità di presentarsi come il paladino del multilateralismo e della stabilità globale in contrapposizione all’unilateralismo della Casa Bianca.
Inoltre il Paese che si candida a diventare l’alternativa agli Stati Uniti ha fatto una scelta di sviluppo economico precisa: ha deciso di puntare sulla transizione ecologica e digitale non certo per motivi ideologici, ma per convenienza. Pechino ha capito la tendenza dei mercati e ha costruito la più potente macchina economica globale in grado di soddisfare la domanda del ventunesimo secolo: uno sviluppo economico capace di moltiplicare il nostro benessere invece di ridurlo. Cioè di fare soldi costruendo la difesa alla minaccia climatica. L’Europa può allinearsi a questo obiettivo (che aveva dichiarato per prima ma poi scarsamente praticato) oppure rassegnarsi. All’irrilevanza.