2 Settembre 2025
/ 1.09.2025

Cinque negazionisti alla corte di Trump

Il Dipartimento dell’Energia americano presenta un rapporto per smentire l’Ipcc, cioè il gruppo di lavoro di oltre mille scienziati che per le Nazioni Unite da decenni elabora e valuta i dati sul clima

Si il cambiamento climatico esiste, ma è sovrastimato e ci farebbe più male spendere per fermarlo che non adattarci ad esso. Sceglie la strada della negazione del rischio il rapporto presentato il 29 luglio dal Dipartimento dell’Energia americano, un rapporto realizzato da cinque scienziati scelti accuratamente per dare un’architrave teorica alla battaglia ideologica dell’amministrazione Trump contro la lotta globale al cambiamento climatico e per la transizione energetica.

 Il rapporto è ora aperto alle osservazioni degli addetti ai lavori. “Tra gli autori del nuovo rapporto – sottolinea l’agenzia Bloomberg – figurano Steven Koonin, ricercatore presso la Hoover Institution di Stanford, autore di un libro pubblicato nel 2021 in cui sostiene che la scienza del clima è “incerta”; Roy Spencer, scienziato dell’Università dell’Alabama a Huntsville e ricercatore senior presso il gruppo negazionista Cornwall Alliance; e Judith Curry, climatologa ex Georgia Tech che nel 2023 ha testimoniato davanti a una commissione del Senato che “il cambiamento climatico è stato erroneamente definito una crisi” “.  Con loro anche John Christie, climatologo università dell’Alabama, tra gli autori principali del terzo rapporto IPCC e Ross Mc Kitrik, professore di economia ambientale all’università del Guelph in Canada e già revisore IPCC.

“Piuttosto che negare che il cambiamento climatico sia in atto – ha detto in una intervista la professoressa Ann Carlson dell’Università della California a Los Angeles -quello che stanno cercando di dire è: beh, non è poi così grave. Mitigarne gli effetti è molto costoso. E quella spesa danneggia le persone più di qualsiasi cosa potremmo fare per rallentarlo”. Il progetto è chiaro e un gruppo di ricercatori sta preparando una risposta formale al rapporto, secondo quanto riferito dallo scienziato Andrew Dessler della Texas A&M, che ha annunciato l’iniziativa sul sito di social media Bluesky: “Se qualsiasi  un altro gruppo di scienziati fosse stato scelto, il rapporto sarebbe stato drammaticamente diverso. L’unico modo per ottenere questo rapporto era scegliere questi autori. Ma adesso arriverà la risposta adeguata, che metterà in evidenza le omissioni e le distorsioni dei dati”. 

“Il rapporto dell’amministrazione Trump – ha commentato il professor Michael Mann dell’Università della Pennsylvania, uno dei più noti climatologi   – è tipico del numero relativamente piccolo di scienziati che negano la gravità dei cambiamenti climatici. Tutto quello che hanno fatto è riciclare gli argomenti di negazione della crisi climatica già ampiamente screditati. Hanno costruito una narrativa antiscientifica profondamente fuorviante, costruita su argomenti ingannevoli, set di dati travisati e distorsione della comprensione scientifica effettiva. Poi lo hanno vestito con una grafica dubbia composta da dati selettivi e selezionati”.  

Ben Sanderson, direttore della ricerca presso il CICERO Centre for International Climate Research di Oslo, in Norvegia, ha pubblicato un documento che critica il rapporto. “Ogni capitolo – ha scritto Sanderson su Blesky – segue lo stesso schema. Stabilire una posizione contraria al consenso globale, fare “cherry picking” per selezionare prove adeguate per sostenere quella posizionee ignorando le altre, quindi affermare che questa posizione è sottorappresentata nella letteratura sul clima e in particolare nell’IPCC. Includere un sacco di riferimenti, la maggior parte dei quali non supportano l’argomento centrale”. “Questa non è una valutazione sistematica o completa del rapporto – ha scritto Sanderson – ma anche una breve lettura è sufficiente per capire cosa sta facendo: sta isolando selettivamente particolari studi e dati per sostenere la narrazione che il clima è meno grave di quanto valutato, ignorando un corpo di letteratura molto più ampio”./ 

La chiave del rapporto è scegliere i dati per dar corpo alle loro tesi e 6 minimizzare. “Concentrazioni elevate di CO2 – sottolineano i cinque autori nel sommario esecutivo – favoriscono direttamente la crescita delle piante, contribuendo a livello globale al ‘rinverdimento’ del pianeta e all’aumento della produttività agricola. Inoltre, rendono gli oceani meno alcalini (abbassano il pH). Ciò potrebbe essere dannoso per le barriere coralline, anche se la recente ripresa della Grande Barriera Corallina suggerisce il contrario. L’anidride carbonica agisce anche come gas serra, esercitando un’influenza riscaldante sul clima e sulle condizioni6 meteorologiche. Le proiezioni sui cambiamenti climatici richiedono scenari di emissioni future. Esistono prove che gli scenari ampiamente utilizzati nella letteratura sugli impatti abbiano sopravvalutato le tendenze osservate e probabili delle emissioni future”. “Le diverse decine di modelli climatici globali esistenti – affermano – negano apertamente la sostanza dei sei rapporti IPCC: offrono poche indicazioni sulla risposta del clima all’aumento di CO2, con un riscaldamento medio della superficie terrestre in caso di raddoppio della concentrazione di CO2 compreso tra 1,8 °C e 5,7 °C. I metodi basati sui dati producono un intervallo più basso e più ristretto. I modelli climatici globali tendono generalmente a sovrastimare il clima degli ultimi decenni, con un riscaldamento eccessivo della superficie terrestre e un’amplificazione eccessiva del riscaldamento nella troposfera inferiore e media. La combinazione di modelli eccessivamente sensibili e scenari estremi non plausibili per le emissioni future produce proiezioni esagerate del riscaldamento futuro”.

 “L’attribuzione dei cambiamenti climatici o degli eventi meteorologici estremi alle emissioni di CO2 prodotte dall’uomo – proseguono gli autori scelti dal Dipartimento per l’Energia – è messa in discussione dalla variabilità climatica naturale, dai limiti dei dati disponibili e dalle carenze intrinseche dei modelli. Inoltre, il contributo dell’attività solare al riscaldamento della fine del XX secolo potrebbe essere sottovalutato”. “Sia i modelli che l’esperienza suggeriscono – proseguono poi – che il riscaldamento indotto dalla CO2 potrebbe essere meno dannoso dal punto di vista economico di quanto comunemente si creda e che politiche di mitigazione eccessivamente aggressive potrebbero rivelarsi più dannose che benefiche. Le stime del costo sociale del carbonio, che tentano di quantificare il danno economico delle emissioni di CO2, sono altamente sensibili alle ipotesi sottostanti e forniscono quindi informazioni indipendenti limitate . Si prevede che le azioni politiche degli Stati Uniti avranno un impatto diretto impercettibile sul clima globale e che gli eventuali effetti emergeranno solo con lunghi ritardi”.  

Ergo, quella in atto per la difesa del clima è una battaglia inutile. Un approccio fedele al credo di Trump, a quello dell’industria delle fonti fossili e di tutti i negazionisti.

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