Senza 500 miliardi di dollari di investimenti all’anno la produzione di petrolio e gas entrerebbe in un calo pronunciato e mondo perderebbe ogni anno l’equivalente della produzione combinata di Brasile e Norvegia. Il tasso medio di declino della produzione dei giacimenti di petrolio e gas nel tempo ha infatti subito una significativa accelerazione a livello globale, in gran parte a causa della maggiore dipendenza dalle risorse di scisto e offshore profonde. Questo significa che l’industria petrolifera deve correre con gli investimenti nell’“upstream” a pieno regime per restare ferma in termini di produzione. A sostenerlo è il nuovo rapporto dell’Agenzia internazionale per l’Energia (AIE) “The implications of oil and gas field decline rates” (https://www.iea.org/reports/the-implications-of-oil-and-gas-field-decline-rates ) presentato oggi a Parigi.
“Dal 2019 – si osserva del documento – gli investimenti di capitale annuali nel settore petrolifero e del gas a livello mondiale hanno raggiunto una media di circa 550 miliardi di dollari. Stimiamo che circa il 90% di questa spesa, ovvero circa 500 miliardi di dollari, sia stata destinata alla sostituzione della produzione in calo dei giacimenti esistenti, mentre solo il 10% circa è stato destinato a progetti volti ad ampliare l’offerta per soddisfare la crescente domanda”. La scelta delle majors petrolifere è peraltro obbligata, se vogliono mantenere il loro business tradizionale e impedire il declino naturale dei campi produttivi.
I vari tipi di giacimento
“Un’analisi dettagliata dei dati di produzione di circa 15.000 giacimenti di petrolio e gas in tutto il mondo – osserva il rapporto dell’AIE – rivela che il tasso medio annuo globale di declino osservato dopo il picco è del 5,6% per il petrolio convenzionale e del 6,8% per il gas naturale convenzionale”. Questo dato varia notevolmente a seconda del tipo di giacimento: i giacimenti petroliferi supergiganti registrano un declino medio annuo del 2,7%, mentre la media per i giacimenti di piccole dimensioni è superiore all’11,6%. I giacimenti petroliferi onshore registrano un declino più lento, con una media del 4,2% all’anno, rispetto a quelli situati in acque profonde, con una media del 10,3%.
Il Medio Oriente, che possiede i più grandi giacimenti convenzionali onshore del mondo, ha il tasso di declino post-picco più basso, pari all’1,8%, mentre l’Europa, che ha una percentuale molto elevata di giacimenti offshore, registra il tasso di declino più alto, pari al 9,7%. “E’ possibile – scrive l’Agenzia internazionale per l’energia – stimare il calo naturale che si verificherebbe se tutti gli investimenti di capitale cessassero. Tale calo sarebbe ancora più marcato. Se tutti gli investimenti di capitale nelle fonti esistenti di produzione di petrolio e gas cessassero immediatamente, la produzione globale di petrolio diminuirebbe in media dell’8% all’anno nel prossimo decennio, ovvero di circa 5,5 milioni di barili al giorno (mb/g) ogni anno. Ciò equivale a perdere ogni anno più della produzione annuale del Brasile e della Norvegia. La produzione di gas naturale diminuirebbe in media del 9%, ovvero 270 miliardi di metri cubi all’anno, pari all’attuale produzione totale di gas naturale dell’intera Africa”.
I tassi di declino naturale stanno diventando più rapidi e riflettono la maggiore dipendenza attuale dalle fonti non convenzionali, i cambiamenti nel mix di produzione convenzionale (come i giacimenti offshore più profondi e i NGL) e una base di approvvigionamento più ampia, senza contare che “con i tassi di declino naturali, l’approvvigionamento globale di petrolio e gas diventerebbe molto più concentrato in un numero ristretto di paesi del Medio Oriente e della Russia, con implicazioni per la sicurezza energetica”.
Investire molto per mantenere la produzione stabile
E così bisogna investire moltissimo per mantenere sostanzialmente inalterata la produzione. “Solo una piccola parte degli investimenti upstream nel settore petrolifero e del gas – osserva Fatih Birol, direttore esecutivo dell’AIE – viene utilizzata per soddisfare l’aumento della domanda, mentre quasi il 90% degli investimenti upstream annuali è dedicato a compensare le perdite di approvvigionamento nei giacimenti esistenti“, ha affermato. “I tassi di declino sono l’argomento tabù in qualsiasi discussione sulle esigenze di investimento nel settore petrolifero e del gas, e la nostra nuova analisi mostra che hanno subito un’accelerazione negli ultimi anni. Nel caso del petrolio, l’assenza di investimenti a monte eliminerebbe l’equivalente della produzione combinata di Brasile e Norvegia ogni anno dall’equilibrio del mercato globale. Questo significa che l’industria petrolifera deve correre molto più veloce solo per rimanere ferma. E occorre prestare molta attenzione alle potenziali conseguenze per l’equilibrio del mercato, la sicurezza energetica e le emissioni”.
Naturalmente in una prospettiva “net zero”, con un netto calo delle emissioni di CO2, gli investimenti necessari sarebbero molto inferiori perché inferiore sarebbe la domanda. “Lo scenario Net Zero Emissions by 2050 (NZE) dell’IEA – osserva l’Agenzia – delinea un percorso per limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5 gradi. In questo scenario, un’enorme accelerazione del ritmo delle transizioni energetiche rispetto alle tendenze attuali comporta un calo della domanda di petrolio a circa 55 mb/g nel 2035 e della domanda di gas naturale a 2 250 miliardi di metri cubi. Questo valore è superiore al livello di produzione previsto per il 2035 in base ai tassi di declino naturale (42 mb/g di petrolio e 1 600 miliardi di metri cubi di gas naturale). Ma è inferiore alla produzione con investimenti in attività convenzionali esistenti nel settore del petrolio e del gas (compresi i giacimenti post-picco, le attività legacy e i progetti di ramp-up) e dai progetti che sono già stati approvati per lo sviluppo; la produzione totale in questo caso sarebbe di 64 mb/g di petrolio e 2.600 miliardi di metri cubi di gas naturale nel 2035.Il ritmo di riduzione della domanda nello scenario NZE è quindi sufficientemente rapido da non richiedere, nel complesso, l’approvazione di nuovi progetti convenzionali a lungo termine nel settore upstream”. Il petrolio avanzerebbe e il suo prezzo crollerebbe. Ma con i chiari di luna attuali questa è solo una pia speranza.