18 Settembre 2025
/ 18.09.2025

Salvare i poli con la geoingegneria? Gli scienziati: “Un costoso errore”

Barriere sottomarine da 80 miliardi di dollari, iniezioni di aerosol nell'atmosfera e persino microsfere di vetro sparse sul ghiaccio. Ma per la comunità scientifica sono rimedi inefficaci e probabilmente dannosi

Barriere sottomarine da 80 miliardi di dollari, iniezioni di aerosol nell’atmosfera e persino microsfere di vetro sparse sul ghiaccio. Sembrano scenari di fantascienza, ma sono progetti concreti al vaglio della comunità scientifica internazionale. Progetti che, secondo un nuovo studio pubblicato sull’autorevole rivista scientifica Frontiers in Science (https://www.frontiersin.org/journals/science/articles/10.3389/fsci.2025.1527393/full), potrebbero rivelarsi non solo inefficaci, ma addirittura dannosi per la lotta al riscaldamento globale.

Oltre quaranta tra i maggiori esperti mondiali delle regioni polari, tra cui la glaciologa italiana Florence Colleoni, dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), hanno analizzato le cinque proposte di geoingegneria polare più discusse, bocciandole senza appello. Il verdetto è chiaro: questi interventi titanici non solo non risolveranno la crisi climatica, ma rischiano di distrarre risorse preziose dalla vera soluzione: la riduzione delle emissioni di gas serra.

“Come comunità scientifica abbiamo voluto esaminare attentamente queste proposte”, spiega Colleoni. “Nonostante le buone intenzioni, si tratta di progetti dall’efficacia dubbia che potrebbero distogliere attenzione e risorse dalle strategie già comprovate”. La geoingegneria polare, nata come possibile complemento alla riduzione delle emissioni, rischia paradossalmente di diventare un alibi per rimandare i necessari tagli alla CO2.

Le proposte analizzate sembrano uscite dalla penna di Jules Verne. Si va dall’iniezione di particelle riflettenti nell’atmosfera per ridurre la radiazione solare (Stratospheric Aerosol Injection), a enormi barriere sottomarine per proteggere i ghiacciai dalle acque calde. Alcuni progetti prevedono addirittura di spargere microsfere di vetro sul ghiaccio marino per aumentarne la capacità riflettente o di pompare acqua sulla superficie ghiacciata per ispessirla artificialmente. Ma ci sono anche proposte per rimuovere la cosiddetta acqua basale”, cioè per pompare l’acqua subglaciale al di sotto dei ghiacciai e rallentare lo slittamento e ridurre la perdita di ghiaccio, o per aumentare la fertilizzazione oceanica, aggiungendo nutrienti negli oceani polari per stimolare fioriture di fitoplancton, che cattura e trasporta carbonio nelle profondità marine una volta arrivato alla fine del ciclo vitale.

Ma i problemi non sono solo tecnici. Gli esperti evidenziano rischi ambientali significativi: le barriere marine potrebbero sconvolgere gli habitat di numerose specie, mentre le iniezioni di aerosol rischierebbero di danneggiare lo strato di ozono. Senza contare i costi astronomici: solo per una barriera sottomarina lunga 80 chilometri si parla di 80 miliardi di dollari in dieci anni. E questa potrebbe essere una stima ottimistica.

“La metà del secolo si avvicina”, ammonisce Martin Siegert dell’Università di Exeter, primo autore dello studio, “ma stiamo disperdendo tempo e risorse tra progetti speculativi invece di concentrarci su quello che sappiamo funzionare: la decarbonizzazione”.

C’è però anche una nota di speranza. Gli scienziati ricordano che il riscaldamento globale potrebbe stabilizzarsi entro vent’anni dal raggiungimento della neutralità climatica. “La buona notizia è che abbiamo già obiettivi realistici e raggiungibili”, conclude Siegert. “Una volta fermato l’aumento delle temperature, i benefici per le regioni polari e per l’intero pianeta saranno significativi”.

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