All’Assemblea generale dell’Onu, lo scontro è andato in scena in diretta globale. Donald Trump, tornato a prendersi la ribalta, ha liquidato il cambiamento climatico come “la più grande truffa mai perpetrata contro il mondo”, rivendicando la centralità del petrolio e del carbone. Poche ore dopo, Xi Jinping ha risposto a distanza con un videomessaggio: “La transizione verde e a basse emissioni di carbonio è la tendenza del nostro tempo”, ha detto il presidente cinese, annunciando il primo obiettivo numerico intermedio sulle emissioni.
Un traguardo prudente
La Cina promette di ridurre del 7-10% le proprie emissioni nette entro il 2035 rispetto al picco, che secondo gli esperti potrebbe già essere raggiunto nel 2025. È molto meno del 30% indicato come necessario per restare in linea con la traiettoria dei +1,5 °C, ma rappresenta un passaggio politico cruciale: finora Pechino si era impegnata solo a fermare la crescita delle emissioni “prima del 2030” e a raggiungere la neutralità entro il 2060. Xi ha voluto introdurre un passo intermedio, legandolo alla crescita impetuosa delle rinnovabili.
Gli osservatori invitano a leggere l’annuncio come un “minimo garantito”. La Cina ha già una lunga storia di superamento dei target: quando aveva fissato al 2020 l’obiettivo di portare le rinnovabili al 15% del mix energetico, lo ha raggiunto con due anni di anticipo. E negli ultimi tre anni ha installato più fotovoltaico e eolico di quanto l’intera Europa abbia costruito in un decennio. Lauri Myllyvirta, analista del think tank Ccrea, prevede che al ritmo attuale Pechino andrà ben oltre il 10% promesso. Per Greenpeace Asia, “la decarbonizzazione dell’economia cinese procederà più rapidamente di quanto previsto sulla carta”.
Una contrapposizione politica
Il contrasto con Trump è frontale. Da una parte la Cina che, pur con obiettivi timidi, si accredita come attore responsabile nel multilateralismo climatico; dall’altra gli Stati Uniti che, con il presidente, si apprestano a uscire dall’accordo di Parigi, lasciando un vuoto nella diplomazia ambientale. Xi ha fatto un’allusione esplicita: “Sebbene un certo Paese agisca contro di essa, la comunità internazionale deve mantenere la rotta”.
Non mancano le critiche. Juan Manuel Santos, già presidente colombiano e oggi negli “Elders”, ha definito l’obiettivo “troppo timido”. Ma molti vedono nel messaggio cinese un segnale importante. Simon Stiell, capo dell’Onu Clima, lo ha letto come “un chiaro segnale che l’economia mondiale del futuro funzionerà con energie pulite”. E la replica di Philip Davis, premier delle Bahamas, ha ricordato a Trump il peso reale della crisi: “La frequenza e l’intensità degli uragani è reale, non è una bufala”.
Europa e il rischio di restare indietro
Il vertice Onu convocato da António Guterres a meno di due mesi dalla Cop30 di Belém doveva portare nuovi impegni per il 2035. In realtà, oltre alla Cina, nessun annuncio ha fatto la differenza. L’Unione europea ha presentato soltanto una forbice non vincolante — taglio delle emissioni tra il 66,25 e il 72,5% entro il 2035 — segno di divisioni interne. “Vi assicuro che l’Europa manterrà la rotta degli obiettivi climatici”, ha dichiarato Ursula von der Leyen, ma senza offrire certezze aggiuntive.
L’obiettivo di fermarsi a +1,5 °C richiede riduzioni drastiche e rapide. In questo contesto, la contrapposizione è chiara: Pechino punta sulle energie pulite, anche se con gradualità; Trump rilancia fossili e negazionismo. Il risultato non riguarda solo l’ambiente: segnerà il baricentro economico e geopolitico dei prossimi decenni.