Il dibattito sulla sicurezza alimentare ha raggiunto un nuovo, allarmante livello. Non si tratta più solo di discutere di una riduzione media dei raccolti dovuta al caldo, ma di fare i conti con una volatilità così estrema da minare le fondamenta della pianificazione agricola e dei mercati globali. L’agricoltura, in sostanza, è diventata una scommessa troppo rischiosa.
Un gruppo di ricercatori, incrociando complessi modelli climatici e agricoli, ha messo a fuoco un pericolo centrale: la variabilità annuale delle rese. I loro dati, pubblicati su Science Advances, mostrano una relazione preoccupante tra il calo dei rendimenti medi e l’esplosione delle loro fluttuazioni da un anno all’altro, soprattutto per le colture chiave. Per ogni grado Celsius di aumento della temperatura globale, l’incertezza sulla produttività annuale si impenna in modo drammatico. Per il mais, la variabilità cresce del 7,1%, per il sorgo del 9,8%, ma è la soia a registrare l’impennata più violenta, con un incremento della volatilità che tocca un impressionante 19,4% per ogni grado di riscaldamento.
Lo studio è il primo a quantificare l’impatto del cambiamento climatico sulla fluttuazione annuale delle rese di queste colture, che sono tra le più importanti per l’agricoltura mondiale. Questa instabilità è guidata dalla micidiale sincronizzazione tra caldo estremo e siccità, due nemici che si alimentano a vicenda: l’aria più calda asciuga rapidamente il suolo, e il suolo secco, a sua volta, accelera il riscaldamento dell’aria.
La conseguenza più drammatica di questa accresciuta imprevedibilità è l’accelerazione della frequenza degli eventi di crollo del raccolto. Oggi, un’annata agricola particolarmente negativa, con una perdita massiccia di rendimento, è considerata un evento “centenario”, qualcosa che statisticamente dovremmo aspettarci una volta ogni 100 anni.
Ma cosa succede se il mondo si riscalda di 3 gradi centigradi? Lo studio fornisce proiezioni che fanno riflettere: quegli eventi che oggi sono storicamente rari diventano una triste normalità. Per il mais, l’evento “centenario” si verificherà circa ogni 33 anni, e per il sorgo ogni 40 anni. Ma il caso più estremo è ancora una volta la soia: qui, un crollo agricolo catastrofico potrebbe diventare un evento che si ripete con una frequenza allarmante, circa ogni 14 anni.
Questo significa che intere generazioni di agricoltori potrebbero essere costrette ad affrontare non una o due, ma varie crisi distruttive nel corso della loro vita lavorativa. La combinazione di rendimenti medi in calo e una frequenza sempre maggiore di annate nere crea una prospettiva di insicurezza alimentare sistemica.
Le implicazioni di questa maggiore volatilità sono profonde, soprattutto per le regioni che dipendono dall’agricoltura per la sussistenza. In Paesi con limitate riserve di stoccaggio e accesso precario ai mercati internazionali, un aumento del 15% nell’imprevedibilità del raccolto può significare la differenza tra prosperità e carestia.
Per i mercati globali, questa instabilità si traduce in una maggiore speculazione e in oscillazioni di prezzo più violente, introducendo un elemento di rischio sistemico che ricade sul consumatore finale. Insomma, non dobbiamo preoccuparci solo che il clima ci rubi un po’ di raccolto ogni anno, ma che ci rubi la certezza di averlo. E senza certezza, la sicurezza alimentare manca per milioni di persone.
