La transizione verso un’economia circolare è diventata un imperativo. E, proprio per questo, è anche uno degli obiettivi centrali dell’Unione Europea. Un modello in cui i rifiuti diventano risorse, i materiali si riciclano e la sostenibilità diventa un vantaggio competitivo. Ma concretamente, come vengono utilizzati i fondi europei dalle regioni per sostenere questa trasformazione? A far luce su questo aspetto c’è una recente ricerca del Joint Research Center (JRC), il centro studi della Commissione Europea, che offre qualche indicazione interessante.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Emerald da un team spagnolo guidato da Javier Barbero, Rodriguez Crespo Ernesto e Marques Santos Anabela, ha analizzato la diffusione geografica dei progetti di economia circolare finanziati dall’UE. L’obiettivo è capire dove e come vengono investiti i soldi del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) per promuovere ricerca, innovazione e progetti sostenibili.
I risultati certo non sono di facile lettura. E il motivo è presto detto: l’economia circolare è un concetto ampio e sfaccettato, ed esistono oltre 200 definizioni diverse. Inoltre, le regole di finanziamento variano da un programma all’altro. È difficile capire con precisione quali progetti siano davvero “circolari” e quanto denaro arrivi, in concreto, alle regioni. Ma cerchiamo di capire cosa è emerso.
Un quarto dei fondi strutturali europei alle azioni per il clima
Secondo il JRC, circa un quarto dei fondi strutturali europei (2014-2020) è stato destinato ad azioni per il clima, incluse quelle legate all’economia circolare. Ma i dati dettagliati sulle singole regioni restano limitati. Dunque, una maggiore trasparenza aiuterebbe a capire quali territori sono più avanti e quali rischiano di rimanere indietro.
La ricerca, inoltre, evidenzia che fattori come la qualità della governance regionale, il livello di istruzione, l’occupazione e il reddito pro-capite influenzano la capacità di attrarre fondi. In altre parole, le regioni più strutturate ottengono più facilmente finanziamenti, mentre quelle meno sviluppate rischiano di restare indietro, con possibili disuguaglianze territoriali.
Per ridurre queste differenze, il ruolo delle istituzioni europee è cruciale: coordinare strategie regionali e monitorare l’uso dei fondi può aiutare a trasformare la sostenibilità ambientale in uno strumento di sviluppo economico e innovazione. L’economia circolare, insomma, non è solo un tema ecologico: può diventare una leva concreta per competitività e crescita sostenibile e, allo stesso tempo, promuovere coesione e nuove opportunità.
La situazione italiana
In Italia, l’economia circolare, nel contesto del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) rappresenta una sfida concreta, sì, ma incompiuta. Almeno per ora. Il finanziamento, infatti, ha stanziato circa 600 milioni di euro per i cosiddetti “progetti faro” di economia circolare, destinati a potenziare la raccolta differenziata e gli impianti di trattamento e riciclo. E gli obiettivi sono ambiziosi: 55% di riciclo per i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), l’85% nell’industria della carta e del cartone, 65% per rifiuti plastici, e il completo recupero nel settore tessile tramite i cosiddetti “Textile Hubs”.
Tuttavia, gli investimenti sono stati limitati. Secondo i dati del portale OpenPNRR aggiornati al 31 marzo 2025, la spesa effettiva per i “progetti faro” di economia circolare ammonta a circa 97,5 milioni di euro, pari al 16,3% del totale previsto di 600 milioni di euro. Questo dato evidenzia i ritardi accumulati nell’attuazione di tali progetti. A livello generale, la spesa effettiva del PNRR italiano, sempre al 31 marzo 2025, ammontava a circa 58,6 miliardi di euro su oltre 194 miliardi stanziati, meno di un terzo del totale, a fronte di scadenze stringenti fissate dalla Commissione Europea per il 30 giugno 2026.
Dati, questi, che evidenziano come l’Italia stia affrontando una doppia sfida: da un lato rispettare le scadenze del PNRR e massimizzare l’efficacia dei fondi; dall’altro trasformare le risorse disponibili in risultati concreti per la transizione ecologica e la promozione di un’economia circolare davvero diffusa sul territorio.
Nonostante i ritardi, però, il completamento delle riforme richieste dall’UE è relativamente avanzato, al 79,5% rispetto al target dell’85%. Insomma, procediamo a rilento, ma lavoriamo bene sulla cornice normativa necessaria per rendere operativi (si spera) i progetti futuri.