14 Ottobre 2025
/ 6.10.2025

Sorpresa: con una dieta più equilibrata risparmieremmo 5 trilioni di dollari l’anno

Nuovo rapporto della Commissione EAT-Lancet. Dal clima alla biodiversità, dall’acqua al suolo: il cibo è ormai la principale forza che spinge l’umanità oltre la soglia di sicurezza. Ma i benefici di una transizione supererebbero di gran lunga i costi. E una dieta più bilanciata eviterebbe 15 milioni di morti l’anno

Mangiare meglio non è solo una questione di salute, ma un buon affare. È questa la sorpresa che emerge dal rapporto della Commissione EAT-Lancet appena reso pubblico: una transizione verso sistemi alimentari più equilibrati potrebbe generare benefici per oltre 5 trilioni di dollari l’anno in termini di salute pubblica, resilienza climatica e servizi ecosistemici. A fronte di un investimento iniziale stimato tra i 200 e i 500 miliardi. Cioè il cibo può diventare il più grande piano di salvataggio della nostra salute e di quella del pianeta. 

Certo, bisogna intervenire con decisione e con rapidità. Ma i numeri e le convenienze sono scritti a chiare lettere nel nuovo rapporto. Oggi i sistemi alimentari globali spremono il pianeta come un limone, ma falliscono nel garantire la sicurezza alimentare di buona parte della popolazione globale e sono tra i principali responsabili della crisi ecologica che colpisce tutti. Produzione, distribuzione e consumo di cibo contribuiscono per circa il 30% alle emissioni globali di gas serra, aumentano la perdita di biodiversità, degradano i suoli, alterano i cicli dell’azoto e del fosforo e immettono nei sistemi naturali sostanze chimiche tossiche. Risultato: cinque dei nove confini planetari già superati hanno il segno della forchetta.

Un miliardo di persone è sottoalimentato

Eppure, malgrado questo surplus produttivo, oltre un miliardo di persone resta sottoalimentato. Perché non è la scarsità a determinare la fame, ma le disuguaglianze. Il 30% più ricco della popolazione mondiale è responsabile di più del 70% degli impatti ambientali legati al cibo, mentre le fasce più povere continuano a pagare il prezzo della malnutrizione.

Il rapporto evidenzia anche un’altra contraddizione: persino se il mondo riuscisse a eliminare del tutto i combustibili fossili, i soli sistemi alimentari basterebbero a portarci oltre la soglia critica di 1,5 gradi di riscaldamento globale. Questo significa che la transizione energetica, pur essenziale, non è sufficiente: senza una rivoluzione anche nella dieta e nei modelli di produzione agricola, la lotta al cambiamento climatico è destinata a fallire.

Oggi meno dell’1% della popolazione mondiale vive in quello che gli scienziati definiscono “spazio sicuro e giusto”, una condizione in cui i bisogni nutrizionali vengono soddisfatti senza oltrepassare i limiti ecologici. Una dieta più bilanciata, con più frutta, verdura, legumi e proteine vegetali, potrebbe non solo abbattere gli impatti ambientali, ma prevenire fino a 15 milioni di morti premature ogni anno.

Cambiare menu è il primo passo

Cambiare menu è il primo passo. La Commissione EAT-Lancet parla di una trasformazione sistemica. Significa intervenire sui mercati per rendere i cibi sani accessibili e competitivi, ridurre drasticamente gli sprechi alimentari, fermare la conversione di aree naturali in terreni agricoli, promuovere pratiche rigenerative in grado di sequestrare carbonio e ripristinare gli ecosistemi. Significa anche garantire condizioni dignitose a chi lavora nei campi e riconoscere i diritti dei gruppi sociali più esposti, spesso i primi a subire i costi di un sistema iniquo.

Un nodo centrale resta quello delle disuguaglianze. L’attuale organizzazione dei mercati alimentari favorisce pochi attori dominanti, soprattutto multinazionali, mentre lavoratori agricoli, comunità rurali e consumatori vulnerabili restano intrappolati in condizioni precarie. Non sorprende quindi che le resistenze al cambiamento siano forti, soprattutto nei Paesi ad alto reddito, dove abitudini alimentari ricche di carne e prodotti ultra-trasformati sono culturalmente radicate e politicamente difese.

La variabile tempo

Il tempo è la variabile da tenere sotto controllo. Ogni anno di ritardo riduce la possibilità di riportare i sistemi alimentari entro i limiti ecologici e aumenta la probabilità di danni irreversibili. Per questo la Commissione richiama la necessità di un’azione immediata e coordinata, che vada oltre le scelte individuali e coinvolga governi, imprese e società civile.

Il cibo è diventato la grande questione politica ed economica del nostro tempo. Nei nostri piatti non c’è solo nutrimento, ma il futuro del clima, delle foreste, dei mari e della giustizia sociale. Continuare a mangiare come se il pianeta fosse infinito non è più un’opzione. O si cambia direzione, o si accetta di pagare un conto che nessuna economia sarà in grado di saldare.

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