13 Ottobre 2025
/ 13.10.2025

Dieselgate alla resa dei conti

Comincia oggi il processo. Ci sono 1,6 milioni di automobilisti che portano in tribunale le case automobilistiche

A quasi dieci anni dallo scandalo delle emissioni truccate, il Dieselgate torna in tribunale, questa volta nel cuore di Londra. Davanti alla High Court si apre oggi un processo che coinvolge cinque giganti dell’automobile – Mercedes-Benz, Ford, Nissan, Renault e Peugeot-Citroën (gruppo Stellantis) – e 1,6 milioni di automobilisti britannici che accusano i costruttori di aver venduto auto diesel dotate di software in grado di ingannare i test antinquinamento. Si tratta di una delle più grandi class action della storia legale del Regno Unito, con risarcimenti potenziali stimati in miliardi di sterline.

Secondo l’accusa, le case automobilistiche avrebbero installato i cosiddetti “defeat devices”, programmi in grado di riconoscere quando il veicolo si trova su un banco prova e di modificare automaticamente il funzionamento del motore per ridurre temporaneamente le emissioni. Nella guida su strada, invece, i livelli di ossidi di azoto (NOx) sarebbero risultati anche molte volte superiori ai limiti di legge. Le aziende respingono ogni addebito, sostenendo che le tecnologie impiegate erano legittime, conformi alle norme allora vigenti e necessarie per proteggere il motore in determinate condizioni di funzionamento. Renault e Stellantis, in particolare, hanno ribadito che i loro modelli rispettavano le omologazioni previste al momento della vendita.

Un campione rappresentativo

La High Court ha scelto un campione di marchi rappresentativo per avviare il processo, che servirà da banco di prova per eventuali cause analoghe contro altri produttori, tra cui Volkswagen, BMW, Jaguar Land Rover, Toyota e Opel. La decisione su questa prima fase, che riguarda la responsabilità legale, è attesa per l’estate del 2026. Solo successivamente verranno discussi i risarcimenti economici ai proprietari delle auto coinvolte, con un’udienza già prevista per l’autunno dello stesso anno.

Il Regno Unito aveva già affrontato un precedente significativo con Volkswagen: nel 2020 la stessa Alta Corte aveva stabilito che la casa tedesca aveva effettivamente utilizzato dispositivi illegali per manipolare i test sulle emissioni. Due anni dopo, Volkswagen accettò di pagare 193 milioni di sterline a circa 91.000 automobilisti britannici, senza però riconoscere formalmente la propria colpa. Quel caso, tuttavia, non chiude la partita: il nuovo processo londinese potrebbe ampliare il perimetro delle responsabilità a tutto il settore.

L’importanza del dibattimento va ben oltre la questione economica. Il Dieselgate, esploso nel 2015 e costato a livello globale decine di miliardi di euro in sanzioni e richiami, ha rappresentato uno dei più gravi scandali ambientali e industriali dell’ultimo mezzo secolo. Gli effetti non si sono limitati al danno d’immagine: gli ossidi di azoto rilasciati in eccesso hanno contribuito a peggiorare la qualità dell’aria nelle città europee, con impatti diretti sulla salute pubblica. Secondo uno studio citato dal Guardian, migliaia di decessi prematuri nel Regno Unito sono legati a livelli di NOx superiori ai limiti previsti, aggravando un problema che i costruttori promettevano di risolvere proprio con le nuove tecnologie diesel “pulite”.

Una posta in gioco altissima

Sul piano giudiziario, il caso è complesso e già minacciato da tensioni interne: diversi studi legali che rappresentano i querelanti hanno sollevato disaccordi sulla gestione della causa e sulla distribuzione dei compensi, a conferma di quanto la dimensione della class action – con 1,6 milioni di nomi – renda il procedimento inedito e difficile da governare. Tuttavia, la posta in gioco resta altissima. Se la Corte dovesse accertare la presenza di dispositivi illegali, si aprirebbe un fronte di responsabilità civile che potrebbe estendersi a tutta l’industria automobilistica europea.

Per i consumatori britannici, questo processo è anche una battaglia simbolica. Dopo anni di indagini, richiami e promesse di “auto più pulite”, milioni di cittadini vogliono sapere se sono stati ingannati. E, soprattutto, se la transizione verso una mobilità sostenibile possa davvero poggiare su basi di trasparenza e legalità. Da Londra, nelle prossime settimane, potrebbe arrivare un segnale decisivo per l’intero settore.

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