L’Europa sta perdendo i suoi impollinatori. Secondo l’ultimo aggiornamento della Lista Rossa dell’Iucn, pubblicato nei giorni scorsi, il numero di specie di api selvatiche minacciate di estinzione è più che raddoppiato in dieci anni: da 77 a 172 su 1.928 valutate, pari a circa il 9% del totale. Anche le farfalle seguono la stessa traiettoria: le specie considerate a rischio sono passate da 37 a 65 su 442, cioè circa il 15% del totale.
Tra le perdite più simboliche c’è la Pieris wollastoni, la grande farfalla bianca di Madera, dichiarata ufficialmente estinta. È la prima specie di farfalla europea a sparire nel XXI secolo, un segnale inequivocabile di quanto stia accelerando la crisi della biodiversità.
“Stiamo assistendo a un declino silenzioso che compromette gli ecosistemi da cui dipende anche la sicurezza alimentare umana”, ha spiegato un portavoce dell’Iucn. Il problema non riguarda solo la perdita estetica o ecologica: senza api e farfalle, crollerebbe anche la produttività agricola.
Pesticidi, monocolture e clima: la miscela letale
Dietro la scomparsa degli impollinatori si nasconde una combinazione di fattori che interagiscono tra loro. La semplificazione del paesaggio agricolo – con campi sempre più uniformi e poveri di fioriture spontanee – riduce le fonti di nutrimento e frammenta gli habitat. L’uso intensivo di pesticidi e insetticidi neonicotinoidi, anche quando vietati in teoria, continua in molte aree europee sotto forma di deroghe.
A tutto ciò si aggiunge l’impatto del cambiamento climatico, che altera la sincronizzazione tra il ciclo vitale degli insetti e la fioritura delle piante, rendendo più frequenti siccità e ondate di calore. Anche la diffusione di parassiti e virus – favorita dal commercio di api da allevamento – contribuisce a indebolire le popolazioni selvatiche.
Il risultato è un effetto domino che colpisce non solo gli insetti ma l’intero sistema agricolo. In Europa circa l’80% delle colture dipende in qualche misura dall’impollinazione naturale: meno impollinatori significa meno frutta, ortaggi e semi.
Le politiche non bastano: calano anche le specie “comuni”
L’Unione Europea ha adottato nel 2023 la Pollinator Conservation Initiative, con l’obiettivo di fermare il declino entro il 2030. Ma i risultati non arrivano. Un recente studio scientifico (Predicted decline in common bird and butterfly species despite conservation policies in Europe) mostra che anche le specie considerate “comuni” continueranno a diminuire nei prossimi decenni, nonostante le misure in corso. In altre parole, le politiche di conservazione attuali non riescono a bilanciare la pressione esercitata da agricoltura intensiva, urbanizzazione e crisi climatica.
Non tutto comunque è perduto. Una ricerca pubblicata il 13 ottobre su Environmental Microbiology ha scoperto che il polline raccolto dalle api da miele contiene batteri benefici del genere Streptomyces, capaci di produrre composti antimicrobici che le proteggono da infezioni e virus.
Questa “difesa biologica” potrebbe diventare una risorsa preziosa per rafforzare la resilienza degli alveari e ridurre l’uso di sostanze chimiche. È un indizio di quanto la natura stessa contenga, se la lasciamo lavorare, i rimedi per la propria sopravvivenza.
Ma bisogna lasciarla lavorare. L’Europa si è impegnata a invertire la tendenza entro il 2030, i dati di ottobre però dicono che il tempo sta finendo. Servono campi più fioriti, meno veleni, più siepi e margini naturali, ma soprattutto una visione agricola che rimetta la vita – e non solo la resa – al centro del paesaggio.