C’erano una volta quattro amici tra Alicante e Valencia, un pannello solare e un’idea ostinata: portare energia pulita dove non arrivava la rete elettrica. Ventidue anni dopo, quella scintilla è diventata Prosolia Energy, una multinazionale da 19,2 milioni di utili, presente in sei Paesi e partner di colossi come Stellantis.
Un percorso che somiglia più a una parabola che a una cronaca industriale: da un piccolo gruppo di attivisti a un’azienda simbolo della transizione energetica europea.
Dai campi valenciani alla sfida industriale
Tutto comincia nel 2003, quando Juan Carlos Guaita, allora ventenne e leader di un gruppo ambientalista chiamato The Greens, decide che l’ecologia non deve restare un’idea da manifesti. Insieme a tre amici fonda una microimpresa per installare impianti fotovoltaici “stand-alone” nelle zone rurali della Comunità Valenciana, dove molte abitazioni erano ancora escluse dalla rete. “Volevamo cambiare il mondo, cominciando da casa nostra”, racconta oggi Guaita con la serenità di chi sa di esserci riuscito almeno in parte.
Il salto di scala arriva due anni dopo, quando una riforma normativa apre il mercato spagnolo alle rinnovabili su larga scala. Prosolia abbandona le case isolate e si rivolge all’industria, intuendo che il vero cambiamento passa dalle fabbriche, non dai cottage. Il successo è immediato e travolgente: la piccola impresa si espande in Europa, Stati Uniti e Africa.
Poi, nel 2010, la tempesta perfetta: crisi economica globale e nuove regole energetiche tagliano il fiato al settore. “Fu una catastrofe”, ammette Guaita. In cinque anni l’azienda ridimensiona le proprie operazioni, chiude sedi e licenzia centinaia di dipendenti. Tra le vittime della crisi anche la filiale italiana, quella di Prato. “Ricordo ancora la telefonata con Graziano Cucciolini, il nostro country manager: dovemmo chiudere. Ma gli promisi che un giorno saremmo tornati. E così è stato”.
Etica, resilienza e riforestazione
Nel 2022, infatti, Prosolia riapre in Italia e riprende a crescere, ma con una lezione impressa nel Dna: l’etica non è un lusso da tempi felici, è la condizione stessa della sopravvivenza. Appena la situazione lo consente, l’azienda richiama gran parte dei lavoratori licenziati. “Abbiamo condiviso tutto — sacrifici e successi — perché un’impresa è una comunità di persone, non un bilancio”, sottolinea Guaita.
Oggi Prosolia è un caso di coerenza nel capitalismo verde: nel 2024 i suoi impianti hanno evitato l’emissione di oltre 15 mila tonnellate di CO₂, pari alla capacità di assorbimento di mezzo milione di alberi. In Galizia, l’azienda ha appena avviato un progetto di riforestazione su 13,5 ettari per compensare volontariamente il 10% delle proprie emissioni, con l’obiettivo della neutralità carbonica entro il 2030.
Guaita non parla di “responsabilità sociale” come un addendum, ma come una regola di base: “La tutela dell’ambiente non è una scelta, è un imperativo globale”. E non sorprende che sembri ancora un attivista: in fondo, lo è. Solo che oggi guida una multinazionale.
“Se ci fossimo mossi solo per profitto, saremmo scomparsi come tante altre aziende del settore”.Forse è questo il segreto di Prosolia Energy: essere riuscita a trasformare l’utopia in una strategia. Perché, a volte, la rivoluzione più efficace comincia non con uno slogan, ma con un pannello solare piazzato in mezzo al nulla.