Bisogna dirlo con chiarezza: il mondo (il nostro mondo) sta perdendo la battaglia contro la deforestazione. E la sta perdendo male. Nel solo 2024 sono andati perduti 8,1 milioni di ettari di foreste – un’area grande quanto l’Inghilterra – mentre il Pianeta si allontana sempre più dagli obiettivi fissati per il 2030. A lanciare l’allarme è il Forest Declaration Assessment 2025, un rapporto presentato lo scorso 13 ottobre, che mette in luce come ci sia già un ritardo del 63% rispetto agli impegni assunti da oltre 140 Paesi nell’ambito della Dichiarazione di Glasgow del 2021 sulla protezione delle foreste. La situazione è talmente grave da aver spinto un gruppo di investitori globali, che gestiscono asset finanziari per oltre 3.000 miliardi di dollari, a lanciare un appello urgente ai governi.
Amazzonia sotto tiro
Gli incendi rappresentano la principale causa di questa devastazione ambientale, con 6,73 milioni di ettari bruciati in tutto il mondo. L’Amazzonia è stata particolarmente colpita, rilasciando quasi 800 milioni di tonnellate di CO₂ nell’atmosfera a causa dei roghi del 2024. “Gli anni caratterizzati da grandi incendi una volta erano considerati eccezionali, ora sono diventati la norma. E questi incendi sono in gran parte di origine umana”, spiega Erin Matson, autrice principale del Forest Declaration Assessment. “Sono collegati al disboscamento, alla siccità indotta dai cambiamenti climatici e a una disapplicazione delle leggi a tutela dei boschi”.
Il rapporto rivela che nell’ultimo decennio l’86% della deforestazione globale annuale è stata causata dall’agricoltura permanente, ma anche l’estrazione dei minerali e del carbone sta emergendo come fonte crescente di distruzione. “La domanda di prodotti come soia, carne bovina, legname, carbone e metalli continua a crescere, ma la tragedia è che non abbiamo realmente bisogno di distruggere le foreste per soddisfare questa domanda”, sottolinea Matson.
I sussidi che aumentano i danni
Il problema è anche finanziario. Oltre 400 miliardi di dollari in sussidi agricoli contribuiscono chiaramente ad aggravare il processo di deforestazione, mentre il finanziamento pubblico internazionale per la protezione e il ripristino delle foreste ammonta in media a soli 5,9 miliardi all’anno. Secondo le stime del rapporto, per raggiungere gli obiettivi stabiliti per il 2030 sarebbero necessari tra i 117 e i 299 miliardi di dollari.
In risposta a questa emergenza, il Brasile, che ospiterà la Cop30 a novembre, ha proposto il varo del Tropical Forest Forever Facility (Tfff), un fondo che mira a raccogliere 125 miliardi di dollari per il finanziamento a lungo termine della conservazione forestale. Il progetto, che verrebbe finanziato da governi e investitori privati, potrebbe distribuire 3,4 miliardi di dollari all’anno, con il 20% destinato alle comunità indigene e locali.
La preoccupazione degli investitori
La gravità della situazione ha spinto anche il settore finanziario all’azione. Circa 30 investitori istituzionali, tra cui la banca privata svizzera Pictet Group e l’investitore nordico Dnb Asset Management, hanno firmato la Dichiarazione degli Investitori di Belém sulle Foreste Pluviali. “Come investitori, siamo sempre più preoccupati per i rischi finanziari materiali che la deforestazione tropicale e la perdita di natura rappresentano per i nostri portafogli,” si legge nella dichiarazione. Jan Erik Saugestad, Ceo di Storebrand Asset Management, sottolinea l’importanza di politiche che garantiscano certezza legale, normativa e finanziaria per proteggere le foreste e salvaguardare la stabilità economica: “La deforestazione mina i sistemi naturali da cui dipendono i mercati globali, dalla regolazione del clima alla sicurezza alimentare e idrica
