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Esteri, Politica

Meloni Biden, dire poco per ottenere tanto: «Siamo diventati Amici»

30.07.2023

Nella foto Giorgia meloni presidente del consiglio e Joe Biden presidente USA. Washington 27-07-2023 visita ufficiale negli stati uniti di Giorgia Meloni

L’Italia di Giorgia Meloni ottiene molto più di quanto fosse lecito aspettarsi da Washington, più di quanto ottenne Conte nella sua visita a Trump.

Un’ora e venti di colloquio con Joe Biden alla Casa Bianca, due con Kissinger all’ambasciata italiana, gli incontri con i gruppi politici: la visita di Giorgia Meloni a Washington è stata intensa e senza sbavature. Un successo non da poco per un presidente del Consiglio giovane, donna e di estrazione politica opposta, la cui elezione aveva fatto drizzare i capelli al Dipartimento di Stato. E invece, contro ogni aspettativa, nella conversazione nello Studio Ovale Meloni ha incassato un «Siamo diventati amici» e gli auguri per il semestre alla guida del G7 nel 2024 e la conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina nel 2025.

Se non è il leggendario «Dear Bettino» con il quale Reagan chiuse l’animosità post-Sigonella, siamo molto avanti a quanto ottenne «Giuseppi» Conte nella sua visita a Trump. La mancanza di reali critiche politiche è il miglior termometro dell’andamento della visita.

Non solo Biden ha ricevuto Meloni, cosa non scontata appena dieci mesi fa, ma lItalia ha ottenuto molto più di quanto fosse lecito aspettarsi. In più, lo ha ottenuto contro ogni pronostico di quanti la liquidavano come una «fascistella della Garbatella», coniugando l’avversione politica con il disprezzo dei quartieri buoni di Roma Nord. Il lunghissimo comunicato congiunto tocca moltissimi punti d’interesse per l’Italia, dalla stabilità nel Mediterraneo e in Africa (con citazione esplicita del “Piano Mattei”) alla tutela (cioè restituzione) dei beni culturali, dal potenziamento delle borse di studio Fulbright fino all’appoggio per la candidatura di Roma all’Expo 2030.

“Bella forza! Meloni ha ceduto su tutto”, si potrebbe dire. In realtà, Meloni non sembra aver detto o fatto molto più che confermare la tradizionale collocazione atlantica dell’Italia e la partecipazione a tutta una serie di iniziative statunitensi ai quali il paese aveva già aderito sotto altri governi. Gli accordi di Artemis sull’esplorazione dello spazio, per esempio li aveva già firmati il 13 ottobre 2020 “Giuseppi” in coalizione con il PD. Le iniziative per garantire la certezza dell’approvvigionamento di materiali strategici per l’economia italiana sono quanto avrebbe fatto qualsiasi altro governo responsabile.

Restano solo due punti caratterizzanti: il supporto allUcraina aggredita, sulla quale Meloni è stata duna chiarezza inconsueta per un politico italiano, e presa di distanza dalla Cina. Entrambi i punti si inseriscono nella piena ortodossia atlantista e ancorano l’Italia ai partner occidentali dei quali ha bisogno in Europa e non solo. Proprio per questo, sono al tempo stesso i meno originali e i più forti, perché marcano la distanza dall’asse M5S-PD. Ma anche qui, le ripetute sconfitte parlamentari dell’opposizione – ultima delle quali la velleitaria mozione di sfiducia del ministro Santanché – indicano come l’atlantismo fosse una scommessa vinta in partenza.

Se la trasferta americana è stata l’ennesimo successo di Meloni in politica estera, la vera domanda riguarda la capacità del sistema-paese di concretizzare i successi politici e trasformarli in soluzioni, occupazione, crescita. Questo è da sempre uno dei grandi problemi dell’Italia, che – come si vede dal PNRR – stenta a realizzare sul terreno ciò che delinea sulla carta. Parafrasando l’avvertimento che un anonimo diede nel 1980 all’allora sottosegretario agli Esteri Zamberletti:

«Stia attento, perché dietro non ha l’Eliseo ma Palazzo Chigi».

Credito fotografico: IPP/zumapress da Askanews
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