La città costiera di Gabès, nel sud-est della Tunisia, si è completamente fermata martedì 21 ottobre per uno sciopero generale che ha visto scendere in piazza 130 mila persone. Una protesta storica, sostenuta dal sindacato indipendente Ugt, che sta mettendo a dura prova la presidenza (di stampo non certo democratico, avendo sospeso di fatto la Costituzione) di Kaïs Saied, sempre più in difficoltà nel gestire una crisi ambientale e sanitaria senza precedenti.
Al centro della contestazione c’è il complesso industriale del Groupe chimique tunisien (Gct), i cui primi passi risalgono addirittura agli anni ’70, quando si pensò di sfruttare i fosfati estratti dal bacino minerario di Gafsa. Le fabbriche Gct trasformano il fosfato in acido fosforico e fertilizzanti e stanno letteralmente avvelenando la popolazione. Nell’ultimo mese, oltre 200 persone sono state ricoverate per intossicazioni e problemi respiratori nelle località di Ghannouch, Chatt Essalam e Bouchemma, situate nelle immediate vicinanze degli stabilimenti. Gli ospedali della regione, già carenti di attrezzature, sono al collasso.
La situazione precipita
A settembre la situazione è precipitata: una serie di episodi di intossicazione collettiva ha colpito diverse scuole della zona, portando all’esasperazione una popolazione già provata da decenni di inquinamento. L’aria è ormai costantemente saturata di gas tossici, mentre gli scarichi industriali, in particolare il fosfogesso, hanno devastato le attività agricole e la pesca, tradizionalmente al centro dell’economia locale. Non parliamo, naturalmente, del turismo.
Il presidente Saied si trova ora in una posizione sempre più difficile. Da un lato ha definito la situazione un “assassinio ambientale” e un “crimine”, dall’altro continua a sostenere la necessità di potenziare la produzione di fosfati, considerata strategica per l’economia nazionale. Il governo ha infatti annunciato l’obiettivo di quintuplicare la produzione entro il 2030, portandola da 3 a 14 milioni di tonnellate annue. Eppure, dopo molte manifestazioni di massa già nel 2017 il governo aveva promesso il graduale smantellamento delle fabbriche. Ovviamente, non se ne è fatto mai nulla.
La risposta delle autorità alla protesta si è rivelata del tutto inadeguata. L’invio di una commissione ministeriale per trovare soluzioni “urgenti” non ha placato gli animi, mentre il silenzio dei ministeri dell’Industria e dell’Ambiente ha lasciato spazio a una gestione principalmente repressiva della crisi. Negli ultimi giorni, la polizia ha arrestato 89 persone, tra cui 20 minorenni, ricorrendo anche all’uso di gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti.
La retorica del complotto
Di fronte all’escalation della protesta, Saied ha fatto ricorso alla retorica del complotto, accusando presunti “oppositori e cospiratori finanziati dall’estero” di strumentalizzare la situazione, e promettendo di realizzare progetti più volte annunciati per ridurre emissioni tossiche e inquinamento marino, oltre che realizzare un polo oncologico a Gabès.
La mobilitazione, sostenuta dall’Unione Generale Tunisina del Lavoro e dalla società civile, non accenna a diminuire. Il collettivo Stop Pollution, in prima linea nella contestazione, ha dichiarato che la protesta continuerà fino al “completo smantellamento delle unità inquinanti”, rifiutando qualsiasi compromesso.
