25.02.2025
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Sono passati cinque anni dall’esplosione della pandemia da Covid-19. Un anniversario che impone una riflessione basata sui numeri e sui fatti, lasciando da parte inutili polemiche dettate in gran parte da agende politiche poco trasparenti. In Italia e altrove sembra esserci una volontà diffusa di dimenticare, di evitare un’analisi critica sugli insegnamenti che questa crisi sanitaria e sociale ha lasciato. Ma la storia ci insegna che il Covid-19 non sarà l’ultima pandemia.
Il degrado ambientale ha aumentato la probabilità che organismi patogeni prima confinati in specie diverse e ambienti incontaminati possano entrare in contatto con l’uomo, provocando il salto di specie che abbiamo osservato con il Covid e altri virus. La vera domanda non è quindi se arriverà un’altra pandemia, ma quando e con quali caratteristiche.
I numeri della pandemia: un bilancio amaro
L’Italia è stata tra i primi Paesi colpiti dal virus SARS-CoV-2. Il 31 dicembre 2019 la Cina segnalava all’OMS la comparsa di una nuova malattia respiratoria. Il primo caso in Italia venne diagnosticato il 20 febbraio 2020. Poche settimane dopo, l’11 marzo, l’Oms dichiarava ufficialmente la pandemia. Nel mondo sono stati registrati oltre 780 milioni di casi e 7 milioni di morti ufficiali, ma stime più accurate parlano di almeno 20 milioni di decessi.
In Italia, tra febbraio 2020 e marzo 2024, si sono contati oltre 26 milioni di casi e circa 196.000 morti. Studi basati su modelli matematici stimano che la mortalità in eccesso legata al Covid nel periodo 2020-2023 sia stata di circa 228.000 decessi. Questo numero coincide largamente con quanto riportato dall’Istat, che nel periodo 2020-2023 ha registrato 251.000 decessi in più rispetto alla media osservata nei dieci anni precedenti la pandemia. L’impatto demografico è stato significativo: l’aspettativa di vita, scesa da 83,3 anni nel 2019 a 82,0 nel 2022, è tornata a livelli pre-pandemia (83,7 anni) solo nel 2023.
Il vaccino: un’arma decisiva tra scienza e disinformazione
La scoperta e la distribuzione del vaccino in tempi record, a partire da dicembre 2020, hanno avuto un impatto cruciale nel contenere la mortalità e la diffusione del virus. Ad oggi, sono state somministrate oltre 13,6 miliardi di dosi e il 67% della popolazione mondiale ha ricevuto almeno una dose. Eppure, dopo un’iniziale adesione, il vaccino è stato oggetto di un crescente scetticismo, alimentato da fake news e da una narrazione politica irresponsabile. Le reazioni avverse, pur limitate e comunque presenti in ogni trattamento medico, sono state amplificate e distorte, creando un clima di diffidenza, nonostante il vaccino abbia contribuito in modo significativo a contenere la diffusione della malattia, prevenire le forme più gravi e ridurre i ricoveri ospedalieri.
Secondo uno studio pubblicato su The Lancet, solo in Europa la vaccinazione ha ridotto la mortalità del 59%, salvando 1,6 milioni di vite. Tutto questo è stato oscurato da una valanga di disinformazione, spesso cavalcata da gruppi politici che hanno rilanciato posizioni antiscientifiche, sono stati sostenuti da organi di stampa e opinionisti spregiudicati, e hanno alimentato sfiducia e paure infondate.
Lezioni apprese e criticità del nuovo piano pandemico
La pandemia ha mostrato l’importanza della collaborazione internazionale, della sorveglianza epidemiologica, dell’identificazione e controllo precoce dei focolai epidemici e della necessità di sistemi sanitari pubblici solidi e ben organizzati, articolati sul territorio e che non lascino ai soli ospedali la tutela della salute. Ha anche evidenziato il ruolo cruciale della comunicazione istituzionale, che deve essere trasparente e credibile per garantire la fiducia dei cittadini. Oltre alla necessità di un monitoraggio e un contrasto costante e ben documentato delle fake news che minano l’efficacia delle misure di contenimento e inducono comportamenti errati e spesso dannosi.
Il nuovo piano pandemico del governo italiano incorpora alcuni di questi principi, ma il contesto in cui è stato presentato solleva perplessità. L’annuncio ufficiale è stato accompagnato da toni polemici, affermazioni e annunci discutibili che ne hanno offuscato il valore strategico. Un esponente di spicco della maggioranza di governo ha dichiarato su X: “Lockdown e vaccini non sono nel nuovo piano pandemico: le sinistre se ne facciano una ragione”. Un messaggio demagogico e pericoloso, che strizza l’occhio alle frange più antiscientifiche della popolazione e che non corrisponde al contenuto dello stesso piano pandemico.
Il piano, infatti, prevede l’uso di vaccini “efficaci” per proteggere la salute della popolazione, aggiungendo che “non possono essere gli unici strumenti per il contrasto agli agenti patogeni ma vanno utilizzati insieme ai presidi terapeutici disponibili”. Tutto corretto, ma questo è esattamente ciò che si è fatto durante il Covid: si sono utilizzati vaccini “efficaci”; in assenza di terapie specifiche (disponibili solo dal 2022), si sono utilizzati farmaci sintomatici e protocolli di trattamento via via migliorati con una maggiore conoscenza del virus.
Il piano pandemico contiene alcuni spunti interessanti, come la necessità di flessibilità e adattamento nella gestione della pandemia, sottolineando l’importanza di una gestione trasparente in grado di comunicare l’incertezza scientifica in modo chiaro.
Non entro nel merito dei meccanismi legislativi proposti, anch’essi presentati in modo ambiguo, con il richiamo all’utilizzo di leggi ordinarie approvate dal Parlamento. È del tutto evidente che in una situazione di emergenza non si possono attendere i tempi lunghi di approvazione delle leggi, ma si dovrà far ricorso a decreti e altri strumenti da approvare in tempi brevissimi. Si fa inoltre esplicito riferimento al modello di risposta proposto dall’Oms, anche in questo caso in contrasto con le scomposte posizioni di alcuni esponenti della maggioranza che, scimmiottando il presidente americano, propongono l’uscita dell’Italia dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Al di là delle ambiguità politiche, il vero nodo resta il Servizio sanitario nazionale. Senza una seria riorganizzazione e un adeguato finanziamento, ogni piano pandemico rischia di restare sulla carta. Perché la realtà è una sola: senza un Ssn forte e ben finanziato, l’Italia non sarà mai pronta per la prossima emergenza sanitaria. La salute pubblica non può essere ostaggio di slogan e opportunismi. È questa la vera priorità su cui governo e forze politiche dovrebbero concentrarsi.