Un’ora prima dell’alba una doccia fredda gela chi spera in un esito positivo di Cop30. Il nuovo testo della presidenza brasiliana è a dir poco deludente. Non c’è la roadmap per l’uscita dalle fonti fossili, non c’è anzi alcun riferimento alle fonti fossili, non c’è un richiamo all’articolo 28 dell’accordo Parigi (che chiedeva riduzioni profonde, rapide e sostenute delle emissioni di gas serra per contenere il riscaldamento a 1,5 °C). Per quanto riguarda la mitigazione, la parte più debole, il testo prevede degli spazi in cui i Paesi potranno discutere e avanzare la transizione dai combustibili fossili, però senza – sia mai – citarli esplicitamente. Ma è qualcosa di impalpabile.
Questi processi sono il Global Implementation Accelerator (paragrafo 41), un’iniziativa volontaria sotto la guida delle presidenze delle prossime due Cop, che ha lo scopo di discutere come aumentare l’attuazione dei piani nazionali (sia gli Ndc, gli impegni volontari di mitigazione, che i Nap, i piani per l’adattamento), e la Belém Mission to 1.5 (paragrafo 42), sotto la guida della Cop attuale e delle successive due, che mira a riflettere su come accelerare l’attuazione, la cooperazione internazionale e gli investimenti nei piani nazionali.
La reazione: 29 Paesi scrivono alla presidenza
Per quanto riguarda l’adattamento, invece, rimane l’impegno a triplicare i flussi finanziari entro il 2030 rispetto ai livelli del 2025, anche se in maniera generica. Per rispondere alle richieste di un focus dedicato all’articolo 9.1, richiesto con forza dai Paesi in via di sviluppo, è stata avanzata la proposta di istituire un programma di lavoro biennale per affrontare la questione dei finanziamenti pubblici da parte dei Paesi sviluppati. È stato fatto poi solo un breve riferimento alla “Baku to Belem Roadmap” per i 1.300 miliardi, senza però dargli seguito. Infine, per quanto riguarda il commercio, in particolare l’iniziativa della tassa di carbonio alla frontiera decisa dall’UE e duramente contestata da Cina e India, sono previsti dei dialoghi nei prossimi due anni con le agenzie commerciali delle Nazioni Unite per affrontare il tema del commercio e del clima.
Il piatto piange e 29 Paesi – tra i quali Colombia, Regno Unito, Germania, Francia, Spagna, Svezia, Finlandia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Croazia, Svizzera, Cile, Messico, Guatemala, Costa Rica, Corea del Sud, Cile e molti Stati insulari – reagiscono subito diffondendo una dura lettera alla presidenza. “Riaffermiamo”, scrivono, “la nostra volontà di impegnarci in modo costruttivo. Tuttavia, dobbiamo essere onesti: nella sua forma attuale, la proposta non soddisfa le condizioni minime richieste per un risultato credibile della Cop. Non possiamo sostenere un risultato che non includa una tabella di marcia per l’attuazione di una transizione giusta, ordinata ed equa dai combustibili fossili. Questa aspettativa è condivisa dalla stragrande maggioranza delle Parti, così come dalla scienza e dalle persone che seguono da vicino il nostro lavoro. Il mondo si aspetta che questa Cop dimostri continuità e progresso dopo il Global Stocktake. Qualsiasi cosa di meno sarebbe inevitabilmente vista come un passo indietro”.
Do Lago: “Più di 80 Paesi contrari all’uscita dalle fossili”
Il commissario Ue al clima Woke Hoekstra è furioso. “Quello che è ora sul tavolo è inaccettabile. E dato che siamo così lontani da dove dovremmo essere, è spiacevole dirlo, ma ci troviamo davvero di fronte a uno scenario di mancato accordo”. Il presidente della Cop Del Lago incassa e convoca una plenaria informale nella quale appare stanco, provato e nella quale lancia un appello alla cooperazione. I ministri di Colombia, Germania e Francia non sono meno duri.
Nel suo intervento Do Lago difende il consenso: “Lo stesso consenso che esaspera così tante persone è la forza di questo regime. Ma non sottolineiamo le divisioni ora, nei momenti che ci restano per raggiungere un accordo, dobbiamo preservare l’accordo di Parigi”. Piuttosto debole come intervento, e uscendo dalla sala della plenaria il presidente di Cop30 ammette che le resistenze a un accordo ambizioso riguardano ben un’ottantina di Paesi. Tra questi Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Iraq, Emirati Arabi Uniti, Iran, ma anche Bolivia e Venezuela. “La questione relativa all’eliminazione graduale dei combustibili fossili – dice – ha acquisito sempre più importanza. Ma più di 80 Paesi hanno dichiarato che non è un obiettivo raggiungibile”. Ma ci sono anche 41 Paesi che si schierano senza e senza ma con la Colombia. Sono i 29 Paesi della lettera, più Australia, Giamaica, Kenya, Cambogia e altri. E l’Italia – come la Polonia, la Romania e l’Ungheria – non c’è.
Nella successiva ministeriale, la presidenza viene duramente attaccata da Hoekstra. “Siamo qui”, dice, “perché condividiamo la necessità di agire, perché condividiamo la posizione del presidente Lula, perché condividiamo la domanda che viene dalla gente. E poi guardate il testo. Guardatelo. Non c’è niente di tutto ciò che ci aspettavamo. Nessuna scienza. Nessun bilancio globale. Nessuna transizione. Ma invece, debolezza. Debolezza sulla mitigazione. E per di più, una chiara violazione dell’accordo dell’anno scorso sul Nqg (il Nuovo accordo sulla finanza climatica deciso a Baku, ndr). Quindi, sarò altrettanto chiaro. In nessuna circostanza accetteremo questo. E non accetteremo niente che sia anche lontanamente vicino, e lo dico con dolore nel cuore, niente che sia lontanamente vicino a ciò che è ora sul tavolo”. Per Cop30 si annuncia un lunga notte e domani un sabato di scontri. Il punto è, fino a dove si spingerà chi vuole integrità ambientale? Fino a rompere e sancire il fallimento della Conferenza? Allo stato è possibile ma relativamente improbabile, ma lo sapremo solo alla fine. Rimanete sintonizzati, a Cop30 non ci si annoia di sicuro. Anche senza incendi.
