10.02.2024
Unica in Italia, “La foresta che cammina” diventa il Carnevale di Satriano di Lucania. Il Rumita, uomo-albero, si fa portavoce di un messaggio ecologista universale che ha il compito di ristabilire un rapporto antico con la Terra nel rispetto degli umani che la abiteranno in futuro. Uno degli ultimi riti arborei e ancestrali sopravvissuti nella loro integrità.
Andare oltre Eboli e il “Cristo” di Carlo Levi, lì fermatosi, oltre le creste austere dei Monti Alburni, significa penetrare i silenzi della terra del rimorso e della colpa politica, del sudore quotidiano di intere generazioni e dei ponti verso il futuro, ma anche riappropriarsi delle magie di un paesaggio appenninico prezioso. La Basilicata misteriosa si presenta con discrezione, custode gelosa di un senso antico delle cose, attraverso atmosfere ed emozioni. Tutt’intorno una natura esuberante, verde di boschi e campagne assetate, piccoli paesi-presepi a corolla di una piazza centrale.
E ad un passo da Potenza, superata la Torre, fin giù nella conca della Valle del fiume Melandro, ecco apparire, ad un tratto, Satriano di Lucania, aggomitolata attorno al Campanile del Caramuel, tra case di pietra con camini fumanti, giardini odorosi.
Un lampo: qui, il rito del Carnevale ha una diversità culturale in cui il mito si ricompone su uno sfondo simbolico. Le pulsioni ancestrali della civiltà agropastorale e quell’anarchia carnascialesca con il mondo sottosopra ed il ribaltamento temporaneo dei ruoli sociali, si fanno carico di un amore per la terra da difendere, di tensioni etiche e non soltanto contemplative (oh, che bel paesaggio). Tutto è avvolto in un silenzio ovattato: “la foresta che cammina” e muove i passi. In processione, dal Parco Spera, scendono verso il borgo sottostante, uomini e donne che, assumendo le sembianze di un albero ricoperto di fronde d’edera, si trasformano in u’rumit , l’eremita, l’emigrato per necessità, il fuggiasco umiliato che trova pace solo nella natura, quasi fosse una mimetizzazione dietro le foglie legata alla sopravvivenza. 131 costumi verdi, quanti sono i comuni lucani, vengono “animati” da volontari, ben felici d’indossare una maschera che solo dopo la vestizione, le chiacchiere e la pizza chjena (torta di pane ripiena di formaggio e salame), diventa muta e schiva per potersi ramificare. Alla ricerca di un equilibrio perduto tra uomini e natura, per far germogliare un seme interiore, riportare l’essere umano alla sua vera essenza: la foresta che cammina è dentro di noi. U’rumit, simbolo dello spirito arboreo, preceduto dal “fruscio”, un bastone con all’apice un ramo di pungitopo, bussa silente a tutte le porte per portare il buon auspicio in cambio di un dono, nel dedalo di vie e vicoli intersecantesi del paese, fasciato dai murales testimoni di storie antiche (la regina Giovanna, il moccio di Abbamonte, la lucertola a due code, Giovanni De Gregorio, il Pietrafesa, insigne pittore del ‘600). Le forze magiche di un rito arcaico di rinascita e fertilità si ricompongono. A fare da contraltare, l’urs (l’orso), rivestito di pelli ovine, l’altra faccia della terra che si rigenera, vendicativa contro l’uomo incapace di rispettarla; a’ quaresim (la quaresima) donna vestita di nero con la faccia janca (bianca) e la vocca torta, urla per reclamare l’armonia perduta di una natura intima dominata dalla tecnica. Eppoi, la messa in scena del matrimonio contadino con lo scambio dei ruoli: a’ zita e lu Zit (la sposa e lo sposo).Tra ali di folla festante, mentre musica e balli salgono al cielo, le maschere da propiziatorie assumono significati di protesta e denuncia: la natura che bussa alla porta va difesa,per aver in cambio la ricompensa. Il suono lontano di un organetto sembra cullare i versi di Rocco Scotellaro, “vi è una foglia perenne che rimonta sui rami di notte a primavera, a fare il giorno nuovo”. Il logos territoriale diventa elemento identitario e volano di sviluppo: Satriano sorride.
Carnevale di Satriano di Lucania (PZ),
Da sabato 10 a domenica 11 febbraio 2024 – 12ma edizione