Forse a fare notizia, per una volta, è chi non ha vinto il premio. Che il presidente degli Stati Uniti puntasse al prestigioso Nobel per la pace non è un mistero. Lui stesso, in più di un’occasione ha dichiarato di meritarlo e a supporto di questa (curiosa) tesi ha portato in dote un (ipotetico) numero di guerre che avrebbe contribuito a far cessare. Numeri che non hanno mai trovato conferma. Certo, la tempistica tra l’accelerazione delle trattative per la pace in Medio Oriente avevano fatto alzare le antenne a più di un esperto. In ogni caso, pericolo scongiurato.
Quest’anno, il Premio Nobel per la Pace è andato a Maria Corina Machado, attivista venezuelana che da anni rappresenta una delle figure più determinate nella lotta per i diritti democratici in America Latina. Una donna che, di fronte a minacce e pericoli personali, ha scelto di rimanere nella propria terra per continuare a combattere. Una scelta che ha acceso un faro di speranza in mezzo all’oscurità.
Il Comitato norvegese per il Nobel ha motivato così l’assegnazione: “Maria Corina Machado è un esempio straordinario di coraggio civile. Ha unito un’opposizione storicamente divisa, costruendo un movimento che chiede libere elezioni e un governo rappresentativo. Ha dimostrato che i valori della democrazia sono anche i pilastri della pace”.
Un cammino di sfide e resistenza
Maria Corina Machado non è una figura nuova nella politica venezuelana. Maggiore di quattro sorelle, è nata a Caracas il 7 ottobre 1967. Politica, ingegnera e attivista per i diritti umani, è stata deputata dell’Assemblea nazionale dal 2011 al 2014. È fondatrice di Vente Venezuela e cofondatrice dell’associazione civile Súmate. È membro, insieme con Antonio Ledezma e Diego Arria, della piattaforma “Io sono il Venezuela”. Nel 2011 è stata la candidata con più voti nella storia dell’Assemblea nazionale venezuelana.
Nel 2014 ha accettato l’incarico di rappresentante supplente di Panama presso l’Organizzazione degli Stati Americani, ma dal Venezuela è giunta la notizia che aveva perso il suo status di deputato. Nel 2018 è stata inserita nella lista delle “100 Women” della BBC.
Clandestinità e sicurezza: un Nobel incerto
Da agosto dello scorso anno, Maria Corina Machado vive in clandestinità per motivi di sicurezza. Una decisione dolorosa, ma coerente con la sua lotta: “Quando l’autoritarismo prende il potere — ha ricordato il Comitato per il Nobel — è fondamentale riconoscere i coraggiosi difensori della libertà che si sollevano e resistono”.
Proprio per la sua condizione, non è sicuro che Machado possa recarsi di persona a Oslo a dicembre per ritirare il Nobel. Jørgen Watne Frydnes, presidente del Comitato norvegese, ha spiegato: “È una questione di sicurezza. È troppo presto per dirlo. Speriamo sempre di avere il vincitore con noi a Oslo, ma questa è una questione seria”.
Per Frydnes, il premio a Machado non è solo un riconoscimento alla sua battaglia, ma anche un messaggio universale: la democrazia e la pace sono indissolubilmente legate. “Maria Corina Machado mantiene viva la fiamma della democrazia. Il suo esempio è un richiamo per tutte le società: i cittadini hanno il diritto e il dovere di farsi avanti, anche quando il prezzo della libertà è alto”.