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Cultura

Addio cabine telefoniche, spazio iconico per molte generazioni

01.06.2023

Le cabine telefoniche sono ancora oggi uno spazio di comunicazione iconico, centrale nella memoria e nella nostalgia collettiva. Hanno permesso il passaggio dal privato delle abitazioni a una realtà esterna misconosciuta, precedendo l’epoca digitale dell’istantaneità.

Non siamo a teatro, ma dopo settant’anni cala il sipario su una storia che ha fatto parte di noi, indicando usi e costumi, imponendo modalità. Tutto cambia, d’accordo. Ma la decisione irrevocabile dell’AGCOM (l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, su onnipresenti direttive europee) di “invitare” TIM, il gestore, a smantellare progressivamente le circa 35mila cabine telefoniche ancora presenti su tutto il territorio nazionale, produce grande sorpresa (seppur annunciata).

Sarà un lento processo di dismissione, legato alle garanzie di copertura del servizio telefonico, a partire dalle 16mila unità situate in strada, con attenzione rivolta alle 15mila presenti in esercizi commerciali e alle 4mila nei pressi di luoghi ad alta frequentazione (dove è assicurata la disponibilità), come ospedali, scuole, caserme, di cui la metà (più o meno 18mila) ancora attive.

L’esistenza di cabine telefoniche non è al giorno d’oggi più indispensabile per circa il 70% della popolazione: il 72% degli italiani non entra in una cabina telefonica da almeno 10 anni, il 12% non ci è mai entrato in vita.

A Milano si deve attendere il ’52 per vedere i primi due esemplari in Piazza San Babila e XXIV Maggio, grazie alla concessionaria nazionale Stipel, nonostante fossero già diffusi telefoni all’interno di bar, ristoranti, edicole, o nei Posti Pubblici (PTP). La nuova accezione di luogo per comunicare a distanza e di spazio pubblico protetto da rumori o intrusioni esterne si fa largo, miete consensi. Ma se nel 1971 ci sono 2.500 cabine nel Paese, dieci anni dopo il numero si decuplica. Le telefonate fioccano, la voglia di sentirsi aumenta e anche le nuove postazioni: questi “gusci” della modernità che avanza entrano a far parte dell’immaginario collettivo insieme alla comparsa dei nuovi mass-media (la televisione, le radioline portatili, i juke-box). Sono la porta d’accesso al consumismo che, ritmato da un martellamento pubblicitario “contro il logorio della vita moderna, con quella bocca può dire ciò che vuole”, introduce in Italia un nuovo modello di vita a imitazione dei Paesi ricchi, superiore, però, alle possibilità di reddito e mentalità di quella che era stata poco prima solo un’Italietta.

Il telefono accompagna l’effetto del miracolo economico (1958-1964), quell’ondata ubriacante d’euforia artificiale, unita a innegabili conquiste economiche, che aveva inseminato lacerazioni sociali, tra il cummenda di turno, il mito dell’automobile, la vacanza in spiaggia, novelli status symbol, e chi era soltanto costretto a sognarseli, seppellito da cambiali da firmare.

Eppure, per contrasto, il retaggio di quella disparità, di colpo, spariva proprio all’interno della cabina telefonica che diventava una sorta di “livella sociale”.

Parte integrante, ormai, del paesaggio urbano o dei piccoli paesi, quelle scatolette d’allumino anodizzato, rosso mattone con la cornetta nera, erano accessibili a tutti, liberi di poter comunicare ed entrare a far parte, poi, di una storia che da personale diventava collettiva, legata a lavoro, confidenze, e a suoni di gettoni da introdurre nelle feritoie, a schede prepagate, vero passpartout per un mondo visto (o agognato) attraverso le ante di vetro (democraticamente) trasparenti.

Un microcosmo intriso di privacy, capace pure di schivare i divieti familiari (lucchetto al disco traforato) per amori da allacciare con fidanzate lontane, tra pudori e sospiri. Con il sogno, magari, d’emulare il fascino mutuato da letteratura, fumetti e cinema. Con Clark Kent mentre si traveste da Superman, Il favoloso mondo di Amélie che porta Dominique Bretodeau a scoprire ricordi di bambino, il conte Mascetti di Amici miei che spara supercazzole, Rodari e le sue Favole al telefono, Fantozzi-Villaggio che sequestra la madre del megadirettore conte Catellani, appassionato di biliardo. Fotogrammi in dissolvenza, ma legati alle cabine telefoniche, perché nonostante tutto sono parte della nostra storia, del nostro immaginario, con la loro cornetta e i pulsanti consumati.

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