17 Marzo 2025
/ 17.03.2025

Africa, la Grande Muraglia Verde ci riprova

Concepita come una risposta alla desertificazione del Sahel, la Grande Muraglia Verde doveva esser lunga 8.000 chilometri e attraversare l’Africa. In quasi 20 anni, però, è stato raggiunto solo il 18% degli obiettivi

La Grande Muraglia Verde è stata concepita nel 2007 dall’Unione africana come una risposta alla crescente desertificazione del Sahel, la regione semi-arida che si estende a sud del Sahara. L’idea iniziale per fermare l’avanzata del deserto era quella di creare una “barriera verde” di 8.000 chilometri attraverso il continente, da Dakar, in Senegal, a Djibouti, sul Mar Rosso. Ad oggi, però, i progressi sono stati modesti: solo il 18% dell’obiettivo è stato raggiunto, con circa 18 milioni di ettari ripristinati. Un risultato significativo, ma molto lontano dagli obiettivi.

La mancanza di fondi, la scarsa coordinazione tra i vari attori coinvolti, le difficoltà logistiche, alcuni errori tecnici e le tensioni politiche e belliche in alcune aree hanno pesato negativamente. Nel 2021, però, un’iniezione di 14,3 miliardi di dollari (di cui solo 2,5 miliardi effettivamente stanziati) promessa da leader mondiali tra cui il presidente francese Emmanuel Macron ha dato un nuovo slancio all’iniziativa. E, per fortuna, nel tempo il progetto si è evoluto in qualcosa di più complesso e articolato: non più una semplice “muraglia” di alberi, ma un mosaico di paesaggi che combina foreste, terreni agricoli e pascoli, con l’obiettivo di ripristinare 100 milioni di ettari di terreno degradato, sequestrare 250 milioni di tonnellate di carbonio e creare 10 milioni di posti di lavoro entro il 2030.

L’idea di una Grande Muraglia Verde – bisogna dirlo – non è un’idea che nasce in Africa e da africani. Fu nel 1927 che Louis Lavauden, uno scienziato francese che attraversò in lungo e largo il Sahara, coniò il termine desertificazione. Nel 1952 il biologo e botanico britannico Richard St. Barbe Baker ebbe l’idea di erigere una “frontiera verde” sotto forma di una barriera di alberi larga 50 chilometri per contenere l’espansione del deserto. Ma i confini meridionali del Sahara sono dinamici, le aree ai margini del deserto si alternano tra il verde e il marrone arido a seconda delle stagioni. È indubbio che certe attività umane, come l’eccessivo pascolo di armenti, la deforestazione o un’irrigazione inefficace, degradano ulteriormente alcune delle zone già aride del Sahel. Ed è altrettanto vero che con la crisi climatica cambiano i modelli delle precipitazioni, aumentando i periodi di siccità.

Di qui l’idea della Grande Muraglia Verde per il Sahara e il Sahel, questo il nome ufficiale del progetto a cui hanno aderito oltre 20 Paesi africani, oltre a molte agenzie internazionali, istituti di ricerca, organizzazioni della società civile e comunitarie. Obiettivi ambiziosi, ma chiaramente falliti. Finora sono stati ripristinati solo circa 18 milioni di ettari; i fondi promessi non sono arrivati, o sono arrivati in ritardo. Nel 2021 Macron e altri leader mondiali hanno annunciato il Great Green Wall Accelerator, un’iniziativa per rilanciare il progetto con un impegno di 14,3 miliardi di dollari in nuovi finanziamenti per il periodo 2021-2025, che ha contribuito ad accelerarne lo sviluppo. A marzo 2023, di questa somma erano stati erogati 2,5 miliardi di dollari.

Uno dei problemi principali del progetto è stata l’idea iniziale – del tutto irrealistica – della “muraglia” di alberi. Come ha spiegato a Mongabay Matt Turner, esperto di ecosistemi saheliani dell’Università del Wisconsin-Madison, l’immagine di una barriera verde continua è affascinante, ma non tiene conto della dinamicità dei confini del deserto. Inoltre, piantare alberi in zone aride senza considerare le esigenze delle comunità locali è controproducente: gli alberi possono avere difficoltà a crescere, essere abbattuti per ottenere il legname o persino causare lo spostamento delle comunità pastorali locali. Eppure, “l’immagine della Grande Muraglia Verde attira donatori e finanziamenti. È un’immagine potente, e funziona”.

Così, la Grande Muraglia Verde non è una muraglia. Negli anni si è cercato di far diventare il progetto un po’ più olistico, e l’idea è quella di circondare il Sahara con una larga cintura di vegetazione, alberi e cespugli che rendano verde e proteggano un paesaggio agricolo. Una specie di “mosaico di paesaggi” in grado di fornire benefici multipli: prevenire la desertificazione, combattere il cambiamento climatico e sostenere i mezzi di sussistenza locali attraverso l’agricoltura, l’apicoltura, l’agroforestazione e l’allevamento. Come ha dichiarato Amadou Diallo, il senegalese che è responsabile del piano d’azione ambientale per l’Agenzia di Sviluppo dell’Unione Africana, è decisivo il coinvolgimento delle comunità locali: “Se le comunità vedono valore nel progetto, partecipano con entusiasmo. La proprietà della terra è nelle mani della gente, e le persone si sentono quindi più motivate a proteggerla”.

E poi le piante, gli alberi e gli arbusti per farcela devono essere adatti al territorio. Il Royal Botanic Kew Gardens di Londra tra il 2013 e il 2020 ha inviato un team di botanici in Burkina Faso, Mali e Niger per sviluppare un modello di restauro ambientale utile sia all’ecosistema che alle comunità locali. In 120 villaggi sono state selezionate specie vegetali native, più resistenti ai cambiamenti climatici grazie alla loro maggiore diversità genetica. Sono state individuate 55 specie legnose ed erbacee, tra cui baobab, balanite, tamarindo e acacia senegal, utilizzate per cibo, medicina e produzione di gomma arabica, che poi sono state usate per riforestare 2.235 ettari di terre degradate dando lavoro alle comunità locali. In più, i semi raccolti sono stati conservati nella banca del germoplasma dei Kew Gardens, contribuendo alla tutela della biodiversità.

Detto questo, la sfida è davvero ardua. La regione è pericolosa, con gruppi terroristici come Boko Haram che operano in molte aree del Sahel, rendendo impossibile il lavoro delle ong e la vita alle comunità locali. La mancanza di coordinamento tra i vari attori coinvolti nel progetto è un ostacolo significativo: con tanti soggetti internazionali coinvolti, la gestione del progetto è diventata un rompicapo logistico. E resta il peccato originale: la Grande Muraglia Verde è diventata un brand, il cui controllo è ancora più che mai in mano ai donatori dei Paesi sviluppati.

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