14.03.2024
Ricorrere all’antropologia medica per le cure sanitarie in Africa è una scelta riflessiva determinante per la sua salvezza. Fondamentale la comprensione reale dei sistemi culturali, simbolici e politici. Ma la crisi ecologica non aiuta. Le emissioni nocive del “nord del mondo” obbligano le popolazioni a vivere spirali di adattamento, senza fine.
Edoardo Occa, antropologo e ricercatore, vive e lavora in Africa dal 2005, da quando, insieme a sua moglie Laura, si recò sulle montagne della Tanzania. Ha lavorato nella Repubblica Centrafricana, tra le comunità pigmee, in programmi di accesso ai servizi di base. Dal 2010 è un riferimento importante per Medici con l’Africa Cuamm e per chi si informa sulle problematiche di quei territori.
Perché l’antropologia medica in Africa?
«Perché la salute è un fenomeno complesso, inteso nella sua accezione epistemologica più ampia di Scienza della Complessità. Comprendere i sistemi culturali, simbolici e politici è necessario per definire interventi più efficaci e anche per rendere la cooperazione orizzontale, fondata sulla realtà».
Quali ricadute hanno i suoi risultati sulla vita delle popolazioni e sulla consapevolezza di chi si costruisce un immaginario di quei territori?
«I risultati degli interventi sanitari e sociosanitari sono concreti, tangibili. Certo, in termini di gratificazione l’immediatezza dell’impatto del lavoro di un chirurgo o di un pediatra è incomparabile rispetto a quello, appunto, di un antropologo che lavora su scale temporali diverse. Ma le evidenze del contributo significativo al miglioramento della salute delle popolazioni del lavoro del Cuamm e della cooperazione sanitaria in generale sono innegabili. Ritengo inoltre che chi fa questo lavoro abbia una grande responsabilità, in primis verso le popolazioni con cui lavora, ma notevole anche verso chi, tramite il nostro lavoro, si informa su questi mondi».
Qual è il rapporto tra sistemi culturali, sistemi di credenze e crisi ambientali?
«Le culture si declinano a partire dall’ambiente in cui sviluppano e contribuiscono a cambiare il contesto. Parliamo di processi molto lunghi. Anche la dicotomia tra “natura e cultura” è ampiamente messa in discussione. Certo è che negli ultimi anni notiamo quanto, tragicamente, la crisi ecologica obblighi le società ad adattarsi alle emergenze ambientali ad un ritmo che le culture non sono strutturate ad elaborare e metabolizzare. Oltre ai drammi delle emergenze, viviamo il trauma dello sradicamento psicologico che molte popolazioni si trovano ad affrontare. Come Medici con l’Africa Cuamm in Mozambico abbiamo vissuto sei cicloni negli ultimi quattro anni. Questo comporta vittime, distruzione di infrastrutture, emergenze sanitarie come il colera ed il trauma a medio e lungo termine delle popolazioni. La risposta umanitaria deve attrezzarsi sempre di più per poter rispondere contemporaneamente ai vari livelli».
Vi è stato un aumento di fenomeni meteorologici che potrebbe essere dovuto alle nostre emissioni?
«Vi sono evidenze inequivocabili che dimostrano che circa l’80% delle emissioni nocive avvengono nel “nord del mondo” e che a subirne le conseguenze in termini di eventi ambientali catastrofici è, nella stessa misura, il «sud del mondo». Il Mozambico è stato citato persino da Guterres come caso-studio di Paese drammaticamente prono a eventi climatici estremi».