19 Aprile 2025
/ 15.04.2025

Alluvioni e ondate di calore, la cura esiste

Oggi metà delle città ha un piano di adattamento climatico per resistere alle alluvioni e alle ondate di calore sempre più diffuse. 


Nel 2024, l’Europa si è trovata davanti allo specchio del futuro. Un futuro che si legge in un presente che ha un segno climatico molto chiaro. Il rapporto “Stato Europeo del Clima”, diffuso oggi da Copernicus e dall’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm), mette nero su bianco il cambiamento in atto: il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato in Europa, segnato da eventi estremi sempre più frequenti, gravi e diffusi: dalle alluvioni alle ondate di calore

Sei ondate di calore, tra cui la più lunga e la seconda più intensa della storia del continente. Il 30% dei fiumi europei ha superato la soglia di alluvione elevata, il 12% quella di alluvione grave. Piogge torrenziali e tempeste come Boris hanno provocato inondazioni devastanti in Germania, Polonia, Italia, Romania. La provincia di Valencia, in Spagna, è stata sommersa da precipitazioni che hanno lasciato dietro di loro morti, feriti e città in ginocchio.

“Siamo sulla strada per i 3 gradi di riscaldamento entro fine secolo”

Un continente che si scopre fragile, non solo per l’estremizzazione del meteo, ma per l’accumulo di ritardi, scelte sbagliate, inerzie politiche. “Siamo sulla strada per i 3 gradi di riscaldamento entro fine secolo”, ammonisce Friederike Otto del World Weather Attribution. “Continuare a puntare sui combustibili fossili è una follia economica e climatica”.

Anche Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr, conferma che il Mediterraneo è un “hotspot” climatico: “Ci stiamo giocando la possibilità stessa di adattarci: senza una drastica riduzione delle emissioni, arriveremo a scenari ingestibili”.

Eppure, emergono anche notizie positive sul fronte della capacità di adattamento delle città e delle regioni meglio governate e, in parte, sul fronte della prevenzione. Se la fotografia del 2024 è quella di un’Europa sotto pressione, la seconda parte del rapporto è una mappa di speranza concreta. Il 51% delle città europee ha oggi un piano di adattamento climatico. Nel 2018 erano solo il 26%. L’energia da fonti rinnovabili ha raggiunto un record storico: il 45% dell’elettricità prodotta nel continente viene da sole, vento e acqua. Un numero crescente di Paesi dell’UE genera più elettricità dalle rinnovabili che dai combustibili fossili.

Le contromisure funzionano. Ma serve accelerare.

La mappa delle buone pratiche racconta città che hanno ripensato i propri spazi urbani per gestire meglio le piogge intense come Amburgo e Rotterdam; che hanno creato corridoi verdi per mitigare le isole di calore come Parigi e Milano; che hanno investito in allerta precoce come Lubiana e Barcellona. 

Il clima del 2024 ha mostrato un’Europa spaccata in due anche meteorologicamente: a est caldo e siccità, a ovest piogge e umidità. Ma in questo doppio volto c’è una costante: lo stress da calore ha colpito il 60% del continente, e le “notti tropicali”, in cui il termometro non scende sotto i 20 gradi, sono diventate la norma in molte città.

Nel frattempo, i ghiacciai europei fondono a ritmo record. Quelli delle Svalbard hanno perso 2,7 metri di spessore in un anno. È la più grande perdita registrata a livello globale. Non sono dati tecnici, sono le fondamenta di un equilibrio che vacilla.

La vera differenza la fanno le scelte. Ora.

“Ogni frazione di grado conta”, ribadisce la responsabile dell’Omm, Celeste Saulo. E conta anche ogni euro investito in prevenzione, ogni tetto fotovoltaico, ogni foresta protetta. Il clima non è un destino: è una relazione. E l’Europa, che sente sulla pelle il surriscaldamento globale, ha gli strumenti per invertire la rotta.

Le città lo stanno dimostrando. Le rinnovabili crescono. L’innovazione c’è. Ma tutto questo non basta, se la politica europea non ha il coraggio di trattare il cambiamento climatico come quello che è: un’emergenza sistemica. Non episodica. Non stagionale. Sistemica.

Chi oggi ha responsabilità, governa con in mano una diagnosi chiara e strumenti per intervenire. L’ultima scusa — quella di non sapere — è caduta.

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