12 Ottobre 2025
/ 29.09.2025

Amarena, rinviato a giudizio l’uomo che l’ha uccisa

Le accuse contestate sono pesanti: uccisione di un animale protetto aggravata da crudeltà

Ci sono storie che lasciano una ferita. La morte di Amarena, l’orsa marsicana diventata simbolo di convivenza tra esseri umani e natura, è una di queste. Ora quella vicenda fa un passo in avanti: il giudice predibattimentale di Avezzano ha deciso il rinvio a giudizio di Andrea Leombruni, l’uomo che nella notte tra il 31 agosto e il 1° settembre 2023 ha sparato all’orsa uccidendola, davanti alla sua abitazione a San Benedetto dei Marsi. L’udienza è stata fissata per il 19 gennaio 2026.

Secondo le indagini della Procura, a confermare la volontà di colpire mortalmente l’animale sono state le perizie balistiche: il fucile calibro 12 impiegato non lasciava dubbi, i colpi erano destinati a uccidere e non a spaventare. Amarena morì dissanguata poco dopo. I suoi due cuccioli, terrorizzati, sparirono. Per settimane se ne persero le tracce, alla fine furono ritrovati.

Leombruni si è sempre difeso sostenendo che l’orsa fosse entrata nel cortile per predare polli e galline, e che lo sparo fosse avvenuto per proteggere la sua proprietà. La difesa ha anche chiesto la nullità di alcuni atti investigativi, sostenendo che i rilievi fossero stati effettuati quando l’uomo non era ancora formalmente indagato. Sarà il processo a stabilire se quelle tesi abbiano consistenza. Le accuse contestate restano pesanti: “uccisione di animale aggravata da crudeltà”.

A costituirsi parte civile ci saranno non solo associazioni ambientaliste e animaliste come WWF ed Enpa, ma anche il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Per queste realtà l’uccisione di Amarena non è soltanto un fatto di cronaca nera, ma un punto di svolta che chiama in causa il futuro della specie. Gli orsi bruni marsicani sono oggi ridotti a una cinquantina di esemplari sull’Appennino: ogni perdita pesa, soprattutto quando si tratta di una femmina fertile con cuccioli.

Amarena non era un’orsa qualunque. Con le sue cucciolate numerose, la capacità di muoversi tra boschi e centri abitati senza mai essere aggressiva, era diventata quasi un volto familiare, un’ospite accolta con curiosità e rispetto. La sua morte ha scatenato indignazione e dolore ben oltre i confini abruzzesi, trasformandosi in un caso nazionale.

Il processo sarà anche un banco di prova per capire quanto l’Italia sia pronta a difendere i suoi patrimoni naturali più fragili, e a far convivere la presenza dell’uomo con quella di specie che da secoli abitano le stesse montagne. Amarena non tornerà, ma la sua storia potrebbe diventare un punto di non ritorno per la coscienza collettiva.

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