27 Novembre 2025
/ 27.11.2025

Amazzonia, assassinato il leader indigeno che la difendeva

Mentre a Belém si discuteva di difesa delle foreste, i killer hanno sparato sul simbolo delle comunità native che l’Onu definisce “custodi dell’Amazzonia”

A Belém si è discusso di clima, biodiversità, diritti e salvaguardia della foresta. Poco più a sud, il 16 novembre, uomini armati hanno fatto irruzione in un accampamento Guarani Kaiowá e hanno ucciso Vicente Fernandes Vilhalva, leader indigeno, ferendo altre quattro persone. Per l’Onu le comunità native sono “custodi dell’Amazzonia”. Per i fazendeiros e per i garimpeiros che cercano spazio per la soia e per le miniere sono invece un impaccio da cui liberarsi con ogni mezzo.

I Guarani Kaiowá vivono da decenni in una situazione sospesa: sfratti ripetuti, terre ancestrali rivendicate e mai pienamente riconosciute, comunità costrette a sopravvivere ai bordi delle strade che si allungano e si allargano nel cuore della foresta, mentre allevamenti e colture industriali avanzano.

Il governo di Lula, durante la Cop30, aveva annunciato nuove demarcazioni dei territori indigeni. Una notizia che segnava una possibile inversione di marcia dopo anni di politiche ostili alla causa indigena. Ma nelle stesse ore in cui i negoziatori invocavano la difesa delle foreste come strategia climatica globale, quelle stesse foreste venivano colpite nel modo più diretto e brutale.

Le organizzazioni indigene denunciano da tempo l’incapacità dello Stato di intervenire contro le milizie private e gli interessi agro-industriali. Nel caso dei Guarani Kaiowá, molte aree risultano cartografate e identificate da oltre dieci anni, ma non formalmente riconosciute. La demarcazione esiste sulla carta, non nella realtà. E questo scarto tra promessa e vita vissuta è il vero nodo. Perché, come ricorda Survival International denunciando l’omicidio di Vicente Fernandes Vilhalva, la tutela del clima non esiste senza la tutela delle persone che abitano quella terra e la difendono.

Custodi della foresta

Gli studi scientifici lo dimostrano con chiarezza: dove i territori indigeni sono riconosciuti e protetti, la deforestazione cala e la foresta resta viva. Dove invece prevalgono gli interessi speculativi, aumentano i tagli illegali, gli incendi, gli scontri armati, le uccisioni mirate.

Il Brasile non è l’unico fronte aperto. Dall’altra parte dell’Atlantico, in Tanzania, i Masai denunciano sfratti forzati e violazioni ripetute dei loro territori. Non c’è Cop, non c’è accordo climatico, non c’è compensazione di carbonio che tenga se chi difende la foresta muore, se le promesse si fermano ai microfoni, se la terra viene devastata. I popoli indigeni lo ripetono da anni: loro sono parte della soluzione, ma possono bussare solo come ospiti al tavolo dei negoziati nelle trattative sul clima. Senza il riconoscimento dei loro diritti territoriali, qualsiasi piano climatico rischia di fallire.

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