Il cambiamento climatico non risparmia nemmeno le zone che avrebbero dovuto fungere da rifugi per la biodiversità. A lanciare l’allarme è uno studio internazionale guidato dalla Sapienza di Roma e pubblicato sulla rivista Global Change Biology, che ha analizzato l’intensità e la velocità del riscaldamento globale nelle aree protette europee, con implicazioni decisive per le strategie di conservazione.
Lo studio è stato condotto dal Dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin della Sapienza nell’ambito del progetto Horizon Europe NaturaConnect. L’obiettivo: identificare le aree naturali europee più vulnerabili al clima che cambia, ma anche quelle che potrebbero funzionare come “rifugi climatici”, cioè territori in cui l’alterazione delle temperature è più lenta. La differenza non è da poco: sapere dove il clima cambia più in fretta e dove invece resiste consente di pianificare con maggiore precisione azioni di restauro, connettività ecologica e ampliamento delle reti protette.
Specie a rischio in prima linea
Tra le vittime potenziali di questa accelerazione ci sono specie emblematiche come la lince iberica e la rana dei Pirenei. Ma il pericolo è trasversale e riguarda molti altri animali e piante già oggi classificati come vulnerabili. “Il cambiamento climatico sta accelerando più velocemente del previsto – ha spiegato Moreno Di Marco, autore senior dello studio – e il rischio all’interno delle aree protette europee è alto tanto quanto all’esterno, se non maggiore”.
Il gruppo di ricerca ha applicato i modelli climatici più aggiornati per stimare la velocità e l’intensità dei futuri cambiamenti. Il risultato: molte aree protette europee sono esposte a stress climatici severi: i confini amministrativi delle aree naturali non bastano a garantire la sopravvivenza delle specie. Serve una nuova visione, che includa interventi mirati di adattamento climatico, come previsto dalla recente legge europea sul Ripristino della Natura.