25.09.2024
Il quartiere post-industriale che ospita l’acciaieria soggetta a indagini per uno dei più gravi disastri ambientali a livello mondiale, anche luogo di uno dei principali scandali italiani degli ultimi 30 anni per le mancate bonifiche, si trasforma in una mostra rigenerativa: la Lighting Flowers Bagnoli di Franz Cerami.
Periferia occidentale di Napoli, nella zona flegrea tra la collina di Posillipo e l’isolotto di Nisida. Qui, il tempo si è fermato non per contemplare le bellezze paesaggistiche, ma per invitare a ripercorrere a ritroso la storia dell’acciaieria di Bagnoli, quella che gli operai chiamavano «’o cantiere» quando nacque nel 1910, per trasformarsi in una piovra tentacolare di ferro ed abitare l’immaginario collettivo: era sorto il primo stabilimento siderurgico a ciclo completo in Italia. 200 ettari di terra fertilissima e sorgenti, il piccolo paradiso romano di Balneolis affacciato sul mare come luogo di villeggiatura e sito termale, casa degli Epicurei, Virgilio, Giulio Cesare, passato dalla Vetreria Lefevre (1853) e incardinato, poi, nel progetto (irrealizzato) di canali simil-Venezia con alberghi di lusso dell’architetto Lamont Young, avevano ceduto il passo ad una legge speciale del 1904: largo all’Ilva, in seguito Italsider (1964). Un intreccio inestricabile di industria (per i detrattori: pseudo industrialismo incurante delle vocazioni naturali del territorio), impegno e dedizione per una zona assetata di lavoro, imprigionato dalla morsa di conflitti ed interessi, progetti e rotte improvvide, dettate da organizzazione velleitaria e malapolitica.
Lo spegnimento dell’ultimo altoforno nel ’93, la costituzione di Bagnoli Spa (’96) e quella di Bagnoli Futura, hanno accompagnato i primi sequestri per le mancate bonifiche e le indagini per disastro ambientale, in una giostra di responsabilità reciproche tra Ilva-Eternit-Cementir-Montecatini, tanto da disseccare la sentenza “chi inquina paga”. Il balletto dei commissariamenti e le prove di forza tra Regione, amministrazioni comunali e governi succedutisi, sindaci vari e cabine di regia (improvvisate) hanno rallentato le bonifiche del suolo a dispetto di una imponente spesa di denaro pubblico (destinata al movimento terra e alla progettazione) scrivendo la storia della più travagliata rigenerazione urbana di Napoli. Da oltre trent’anni il quartiere di Bagnoli attende la propria rinascita dopo la dismissione degli impianti industriali. Oggi, anche grazie al concorso promosso da Invitalia, sembra aver trovato la svolta ed un’ottimizzazione che passa attraverso il recente protocollo d’intesa, firmato dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal commissario di governo e sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, che sblocca un finanziamento di 1,2 mld di euro. «Entro fine anno sarà operativo un impianto di “desorbimento termico”, una sorta di lavorazione del terreno che con la temperatura viene bonificato, eliminando le tracce di idrocarburi e altri contaminanti presenti in profondità senza movimentazione del terreno» assicura il primo cittadino, mentre gli scettici confidano solo nel miracolo di San Gennaro.
Afferrando il corno degli scongiuri, pare che si dia una risposta all’integrazione di un’area vasta e disomogenea, incline a magnificare uno spontaneismo disorganico (vedi il borgo di Coroglio) proprio di un tessuto produttivo cresciuto senza regole sotto l’ombrello di un inquinamento non più controllato per decenni. Così, la mostra Lighting Flowers Bagnoli (appena inaugurata) snodantesi attraverso graffiti digitali e videomapping, otto maxi-installazioni che illuminano l’officina meccanica, la torre di spegnimento, l’acciaieria, la palazzina uffici, l’impianto di trattamento acque, l’altoforno per la produzione della ghisa, sembra consegnare all’arte la memoria storica del patrimonio industriale della città. L’abbrivio per una rigenerazione urbana concreta. Ma, attenti: “La storia infinita” di Michael Ende incombe minacciosa.