15 Gennaio 2025
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Punto a Capuo

Banlieue, un confronto tra Francia e Italia

06.07.2023

La rivolta delle banlieue francesi pone una domanda che è molto più diretta che non il futuro di Macron: può succedere anche da noi? Succederà, prima o poi, anche da noi?

Intanto occorre dire che la Francia ha un passato coloniale che l’Italia non ha, o ha avuto davvero di sfuggita: una buona parte dell’Africa parla francese, e i territori d’oltremare arrivano fino ai Caraibi. La nostra immigrazione è più recente, e molto più eterogenea: maghrebini e cingalesi, filippini e nigeriani, latinos e pakistani. Ma è soprattutto il modello di integrazione a essere diverso. La Francia alleva cittadini all’insegna della laicità e dell’identità francese. L’Italia non lavora a integrare, se non a buoni propositi. Siamo lassisti e noncuranti, ognuno si arrangi.

In Francia nelle scuole sono vietati veli e ostentazione di simboli religiosi, nelle scuole italiane ognuno come vuole. In Francia le periferie sono dei ghetti di esclusione, in Italia succede di vedere centri storici abitati da immigrati, dopo che gli italiani si sono trasferiti in più comode villette. Quanto all’identità religiosa e fondamentalista, non è che l’Italia non abbia avuto i suoi foreign fighters che hanno raggiunto le fila dell’Isis, ma non è mai successo qualcosa come l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo o al Bataclan. Se si vogliono cercare tracce di radicalizzazione bisogna andare, in Italia, in qualche moschea isolata, o nelle carceri.

La via americana all’integrazione passa attraverso pochi valori: la bandiera, il lavoro, i soldi. Per il resto ognuno si tiene il proprio retaggio culturale, e diventa italo-americano, pakistan-american, cuban-american. Nessuna pretesa di recidere i ponti con il passato, di fare dell’ultimo arrivato un uomo nuovo. Un po’ è quello che avviene in Italia, dove casomai manca il secondo attributo, “italian”: si continua a essere marocchini, afghani, bengalesi, cinesi. Il problema qualche volta è nelle seconde generazioni, ma viene affrontato con l’ingenuità buonista di chi pensa che basti un documento di identità a risolvere tutto.

Fateci caso: guardate i caseggiati dove vivono gli immigrati: sono selve di parabole per vedere le notizie e le storie del proprio Paese lontano. Guardate gli elenchi delle nuove imprese: sartorie cinesi, market asiatici, kebab mediorientali, fiorai bengalesi. Guardate le professioni: chi lavora allo scarico bagagli negli aeroporti, chi fa le pulizie sui treni, chi fa la vigilanza nei supermercati, non sono solo i rider o i raccoglitori di pomodori. È la via italiana all’integrazione: spontanea, non governata, e ci assomiglia.

Un campanile non si nega a nessuno. E neanche un accento, o un cibo preferito. Nessuno si ribellerà a un’identità imposta, finché nessuno la impone.

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