15 Maggio 2024
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Cronaca, Società

Biancaneve non è più Biancaneve, ma politically correct

Cosa sta succedendo a Disney? Ormai è risaputo che Disney sta cambiando pelle, il mondo protetto dell’infanzia si trasforma in qualcosa al passo con i tempi. È trovata di marketing che un lieto epilogo diventi una barzelletta globale?

L’ideologia woke che domina negli States sta già facendo il giro del mondo, sotto forma di inclusività, ma anche con un grosso alone di perplessità per il rischio di operazioni dottrinali. Tutto iniziò quando Karey Burke, presidente della Disney’s General Entertainment Content, in una call aziendale su Zoom, poi diffusa in rete disse:

«Sono qui come madre di due bambini omosessuali, in realtà.
Un bambino transgender e un bambino pansessuale, e anche come dirigente».

Da lì la promessa che il 50% dei personaggi frequenti del suo universo proverrà da “gruppi sottorappresentati” e dalle minoranze. Fin qui tutto bene, poi si iniziò a non dire più «ladies and gentleman, boys and girls», lasciando solo “sognatori di tutte le età”, per non offendere nessun gender fluid.

Successivamente, la rivisitazione di storie sotto nuove forme forzate”. Facciamo degli esempi: Biancaneve e i 7 nani. Questo è il titolo, intorno al quale ruota la storia di una ragazza, dalla pelle candida come la neve, che viene salvata dall’aiuto di 7 nani. Non sarà così: la protagonista avrà infatti il volto dellamericana (con origini colombiane) Rachel Zegler, già conosciuta nel ruolo di Maria nell’acclamato remake di West Side Story di Steven Spielberg (Golden Globe come miglior attrice); verranno sostituiti i nani con creature fantastiche e magiche e il principe verrà tolto perchè la principessa può benissimo salvarsi da sola. Capitò una polemica simile a Halle Bailey, interprete di Ariel nel live action La Sirenetta, perché mulatta ad interpretare la rossa sirena. Tra le critiche anche i grandi interrogativi: rappresentare le eroine dei classici con etnie diverse è una mossa dettata da principi etici o da strategie di marketing? Spesso la battaglia ideologica fa molto parlare del film in uscita.

A proposito, di tutto altro stampo è il film di Barbie (ci chiediamo come Greta Gerwich possa essere sceneggiatrice anche di Biancaneve, ma questo è un altro discorso), che rappresenta il clichè di bambola plasticosa perfetta, bionda con occhi azzurri e misure iconiche, con un mondo rosa attorno a sé. E questo, seppur dettato da unironia sottile e molto tagliente, esprime lattualità in maniera molto diversa.

Ricordiamo che il brand Mattel sta da anni cercando di avvicinare bimbe ad ogni stereotipo di bellezza (etnie diverse, disabilità, misure fisiche, colore di capelli…). E allora domandiamo: fin dove arriva linclusività e dove inizia lipocrisia di facciata?
Funziona davvero questa politica? I motivi per cui La piattaforma di streaming Disney+, ad non riesce a raggiungere i risultati sperati (perdita di 800 milioni di dollari solo nel terzo trimestre appena concluso) nonostante i tantissimi investimenti, sono ovviamente più ampi.

L’azienda ha così provato a far tornare il suo antecedente leader Bob Iger (colui che dal 2005 al 2020 aveva portato Disney all’acquisizione di Pixar, di Marvel e di Lucasfilm, che spese oltre 70 miliardi di dollari per i gioielli della corona di 21st Century Fox, e che lanciò il servizio in streaming Disney+). Risultato? Il titolo è in calo del 12% rispetto allanno scorso. Forse tra le domande da porsi c’è quella che per essere originali bisogna essere se stessi, ritrovare la magia della novità, non seguire le mode, comprare i concorrenti dopo che hanno già avuto il loro successo… e alla fine forse si dovrà vendere il colosso Disney ad Apple, con cui ha un rapporto solido e di lunga durata.

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