21 Novembre 2024
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Cronaca, Moda, Società

Body positivity, non era “politically correct”, nemmeno moda

Causa principale del tramonto del movimento che inneggiava all’inclusività banalmente di natura economica. Si è acceso un trend e tutte le maison sono corse a seguirlo, pungolate da marketing e timore dei social. Alle sfilate del 2024, su 8800 look solo lo 0,8% era pensato per donne curve. Quale verità.

C’è stato un periodo, alcuni anni fa, in cui sembrava che la percezione del corpo femminile nel mondo della moda fosse cambiata per sempre. Erano gli anni della body positivity, quelli in cui il concetto di “bellezza” sembrava aver subito una metamorfosi. La donna considerata avvenente, perlomeno quella proposta dal fashion system, non era più solo quella magra e longilinea, ma anche quella che abbondava di forme e curve. Il processo avviato sembrava irreversibile, e pareva ormai consolidato il concetto che bellezza non fosse sinonimo di magrezza. E invece non è più così.

Il dato è apparso evidente alle ultime Fashion Week, dove la quasi totalità delle modelle che hanno sfilato avevano la fisicità “classica”, e gli abiti proposti un fit sempre più stretto. Vogue Business ha calcolato che nelle sfilate autunno/inverno 2024 (quelle, cioè, andate in scena la scorsa primavera), su 8800 look solo lo 0,8% era pensato per donne con le curve. Un passo indietro enorme, se si tiene in considerazione il fatto che negli anni precedenti si era raggiunto il 20%. Interessante da questo punto di vista anche il caso del Victoria’s Secret Fashion Show. Il brand di lingerie sexy è tornato a sfilare dopo anni di silenzio e i capi portati in passerella hanno decretato chiaro e tondo il ritorno al passato.

Nel 2018 l’azienda aveva tentato un rebranding, proponendo biancheria intima meno audace e per tutte le taglie: questo, paradossalmente, ha però provocato un calo vertiginoso del fatturato diminuito, tra il 2020 e i 2023, di un miliardo di sterline. Da qui il dietrofront dell’azienda: la presenza di modelle curvy sull’ultimo catwalk era ridotta all’osso e l’immagine classica della modella filiforme è tornata protagonista.
Questo dimostra che una delle cause della perdita di forza del movimento che inneggiava alla body positivity è banalmente di natura economica. Dopo aver sperimentato se fosse più o meno conveniente raggiungere una nuova fetta di mercato, le grandi aziende di moda hanno tratto le loro conclusioni e deciso di fare un passo indietro.

Un altro fattore è quello di percezione sociale. A ben guardare, sono state proprio alcune delle paladine della body positivity ad abbandonare il campo e, appena hanno potuto, hanno fatto ricorso a una drastica cura dimagrante per sfoggiare un nuovo fisico più vicino ai canoni che dicevano di voler rompere. Se le stesse persone che hanno portato avanti una battaglia sono poi pronte a cambiare bandiera, è evidente che la percezione che ne hanno le persone prima e le aziende poi sia quella di una perdita di interesse per l’argomento.
Forse, quella della body positivity in fin dei conti è stata solo una moda, e l’industria fashion l’ha trattata come tale. Si è acceso un trend e tutte le maison sono corse a seguirlo, pungolate magari dall’ufficio marketing e dal timore di finire nel mirino sui social, additate come pessimo esempio di scarsa inclusività. Una volta fatto il suo corso la tendenza si è spenta così come è nata, e un’altra ne prenderà presto il posto.

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