Due sondaggi appena pubblicati, realizzati da Ipsos e dall’Istituto Piepoli per la Fondazione Capellino, disegnano un’Italia in larga parte diffidente nei confronti della caccia. È una fotografia nitida: un Paese dove la maggioranza riconosce, almeno in teoria, un ruolo gestionale all’attività venatoria, ma che in pratica ne teme gli effetti su sicurezza, fauna e convivenza nei territori rurali.
Paura nei boschi e rifiuto etico della caccia
Secondo l’indagine Ipsos, condotta su un campione rappresentativo di mille persone, l’85% degli italiani dichiara di non sentirsi sicuro a passeggiare nei boschi o lungo i sentieri durante la stagione di caccia. Per l’81%, la presenza dei cacciatori disturba la quiete e altera il comportamento degli animali selvatici. Sul piano etico, quasi otto cittadini su dieci ritengono la caccia inaccettabile perché comporta ferimenti, inseguimenti e sofferenze evitabili. Tuttavia, più della metà del campione — il 56% — ammette che, se regolamentata e controllata, la caccia può avere una funzione utile nel contenere le specie in sovrannumero e nel prevenire danni alle coltivazioni o agli allevamenti.
Una riforma che divide il Paese
Anche sul rapporto con la tradizione la maggioranza è netta. Solo il 39% pensa che la caccia, quando è sostenibile e sicura, debba essere rispettata come parte della cultura italiana. Inoltre il 71% considera la legge 157 del 1992 ottima o adeguata. E oltre la metà degli intervistati ignora che in Parlamento è in corso una revisione di questa normativa: tra chi lo sa prevale nettamente il giudizio negativo. Il 61% esprime contrarietà alla riforma, con picchi più alti tra le donne, tra gli anziani e tra gli elettori di centrosinistra.
L’indagine parallela condotta dall’Istituto Piepoli conferma e amplifica questa tendenza. Un quarto degli italiani vorrebbe abolire del tutto la caccia, mentre un altro 32% la accetterebbe solo in situazioni eccezionali, come emergenze di controllo faunistico. Il 71% si dice contrario all’apertura della caccia su specie oggi protette, a conferma di una sensibilità sempre più orientata verso la tutela della biodiversità. Le motivazioni dei contrari sono chiare: la difesa dei diritti degli animali, la protezione degli ecosistemi e il timore per la sicurezza pubblica. In molti vedono nel divieto venatorio anche una possibile leva per sviluppare un turismo naturalistico più sostenibile.
Il dato politico è netto: circa il 70% degli italiani non approva la riforma della legge sulla caccia promossa dall’attuale maggioranza di governo. Tuttavia, nella fascia più giovane, tra i 18 e i 34 anni, cresce la quota di chi si dice favorevole: il 39%. È un segnale in controtendenza che potrebbe indicare un diverso approccio delle nuove generazioni, più pragmatico o più distante dal conflitto ideologico che ha caratterizzato il dibattito sulla caccia negli ultimi decenni.
In sintesi, emerge un’Italia che non è semplicemente “anti-caccia”, ma attraversata da una crescente esigenza di sicurezza, di tutela ambientale e di chiarezza normativa. Il riconoscimento di una funzione ecologica della caccia rimane minoritario e subordinato a condizioni di controllo rigoroso e trasparenza. Colpisce, inoltre, la scarsa informazione sul processo legislativo in corso, segno di un divario comunicativo tra istituzioni, associazioni venatorie e opinione pubblica.
