Il riscaldamento globale si traduce sempre più spesso in giornate roventi che mettono a rischio la salute e il reddito di milioni di persone. È quanto emerge dal rapporto congiunto di Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e Organizzazione Meteorologica Mondiale (Wmo), presentato il 22 agosto. Il documento sottolinea come la frequenza e l’intensità delle ondate di calore siano aumentate in modo significativo, colpendo metà della popolazione mondiale e generando effetti diretti sui lavoratori, sui bambini, sugli anziani e sulle comunità a basso reddito.
Non si tratta solo di disagio: il rapporto calcola che ogni grado in più sopra i 20°C riduce la produttività del 2-3%. Nei campi agricoli, nei cantieri e nei reparti industriali, questo significa meno ore di lavoro possibili, più incidenti e malattie professionali. Colpi di calore, disidratazione, danni renali e disturbi neurologici sono tra i rischi più frequenti, destinati ad aumentare in assenza di misure efficaci di adattamento.
Greenpeace: “Paghi chi inquina, non i lavoratori”
Alla pubblicazione del rapporto, Greenpeace ha rilanciato la necessità di un intervento politico immediato. “I governi di tutto il mondo non possono più restare a guardare mentre la salute e il reddito dei lavoratori vengono compromessi a causa di una crisi climatica alla quale hanno contribuito in misura minima. Nel frattempo, le compagnie petrolifere e del gas guadagnano miliardi ogni giorno, alimentando il riscaldamento globale con le loro emissioni fuori controllo”, ha dichiarato Federico Spadini, della campagna Clima di Greenpeace Italia.
Per l’associazione ambientalista, tassare gli extraprofitti delle compagnie fossili è il modo più diretto per finanziare la transizione energetica e gli interventi di adattamento al caldo estremo. Un’idea che si lega al concetto di giustizia climatica: non è giusto che i costi della crisi ricadano su chi lavora sotto il sole o su chi vive in quartieri privi di servizi adeguati, mentre chi ha contribuito maggiormente alla crisi continua ad accumulare profitti record.
Il caso italiano: estate rovente e salute a rischio
Anche l’Italia sperimenta sulla propria pelle gli effetti del caldo estremo. L’estate 2025 ha registrato diverse allerte rosse per temperature oltre i 40 gradi, con giornate in cui in città come Roma, Firenze e Bologna il lavoro all’aperto è diventato insostenibile. Gli ospedali hanno segnalato un incremento dei ricoveri legati a colpi di calore e disidratazione, in particolare tra anziani e lavoratori del settore edilizio e agricolo.
Le associazioni sindacali hanno chiesto più volte regole chiare per fermare i cantieri nelle ore più calde. In alcune regioni, come l’Emilia-Romagna e la Puglia, si sono già sperimentate ordinanze per sospendere le attività in orari critici. Tuttavia, la normativa nazionale resta frammentaria e la responsabilità è lasciata spesso alla contrattazione locale o alla sensibilità dei singoli datori di lavoro.
Dati e costi nascosti
Il caldo estremo non pesa solo sulla salute ma anche sull’economia. Uno studio dell’Inail ha stimato che in Italia il 10% degli infortuni sul lavoro in estate è correlato a condizioni di stress termico. Se a questo si aggiungono le ore perse per fermare le attività e le spese sanitarie legate ai ricoveri, l’impatto economico diventa significativo.
A livello globale, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro calcola che entro il 2030 si potrebbero perdere oltre 80 milioni di posti di lavoro equivalenti a causa del caldo estremo, soprattutto nei Paesi a clima tropicale. Ma la tendenza riguarda anche l’Europa mediterranea, e dunque l’Italia, sempre più esposta a ondate di calore prolungate.
Giustizia sociale e transizione energetica
Il cuore del messaggio di Oms, Wmo e Greenpeace è che la crisi climatica non è solo ambientale, ma anche sociale. Chi lavora in condizioni precarie, chi non ha accesso a cure mediche o vive in case senza climatizzazione, paga il prezzo più alto. Dunque la transizione energetica non è soltanto una questione di riduzione delle emissioni: è una misura di protezione sociale.
Per Greenpeace, tassare i profitti delle aziende fossili permetterebbe di finanziare impianti di raffrescamento nei luoghi pubblici, interventi urbanistici per aumentare il verde in città, programmi di prevenzione sanitaria e reti di protezione per i lavoratori più esposti. Allo stesso tempo, accelerare lo sviluppo delle rinnovabili ridurrebbe la dipendenza da fonti che alimentano la crisi climatica e i suoi effetti sanitari.