In un’epoca in cui l’inquinamento terrestre è già una sfida titanica, sappiamo bene che lo spazio si sta rapidamente trasformando nella nuova frontiera dei rifiuti umani. Detriti di satelliti, stadi di razzi abbandonati, pezzi di navicelle che si sono scontrate in orbita. E ora, in un certo senso, persino le ceneri dei nostri cari contribuiscono ad aggravare il problema. La vicenda che si è svolta qualche settimana fa sul Pacifico ne è testimonianza, anche se questa volta con un risvolto quasi tragicomico.
Tutto è iniziato il 23 giugno, quando un razzo Falcon 9 di SpaceX si è alzato nel cielo della California trasportando quello che potremmo definire il carico più eclettico della storia recente dell’esplorazione spaziale. Il missile doveva trasportare in orbita bassa terrestre 70 carichi predisposti da clienti privati della compagnia di Elon Musk. Il carico più grosso era a bordo di Nyx, una capsula di rientro da 1,6 tonnellate prodotta da The Exploration Company, una startup aerospaziale tedesca. Soprannominata “Mission Possible”, era il primo tentativo dell’azienda di trasportare carichi utili di clienti in orbita, e poi farli scendere giù; questa in particolare trasportava circa 300 chilogrammi di carico in un viaggio intorno alla Terra.
Defunti in orbita
Il carico comprendeva le ceneri e il DNA di oltre 166 persone decedute fornite da Celestis, un’azienda di voli spaziali commemorativi con sede a Houston, Texas. L’idea era quella di mandare i resti dei defunti in orbita, farli riscendere, e restituirli ai familiari. Se non che, dopo aver raggiunto con successo l’orbita intorno alla Terra, il sistema di paracadute che avrebbe dovuto assicurare un rientro morbido non ha funzionato. Il risultato? Un’improvvisata cerimonia di dispersione delle ceneri in mare, decisamente più spettacolare del previsto.
“A seguito di questo evento imprevisto, crediamo che non saremo in grado di recuperare o restituire le capsule di volo a bordo”, ha dichiarato Celestis in un comunicato. “Condividiamo la delusione delle famiglie e offriamo la nostra più sincera gratitudine per la loro fiducia. Nei prossimi giorni, il nostro team contatterà individualmente ogni famiglia per offrire supporto e discutere i possibili prossimi passi”, ha dichiarato l’azienda, che conclude così: “Speriamo che le famiglie possano trovare un po’ di pace sapendo che i loro cari sono stati parte di un viaggio storico, lanciati nello spazio, hanno orbitato attorno alla Terra e ora riposano nell’immensità del Pacifico”. Insomma, quasi una onorevole dispersione in mare. The Exploration Company, dal canto suo, ha definito la missione un “successo parziale”. Una definizione che farebbe sorridere se non fosse per il costo umano ed economico dell’impresa.
Una possibile coltivazione su Marte
Oltre ai resti umani e altri carichi, Nyx trasportava anche della cannabis fornita da Martian Grow, un progetto di citizen science open-source. Il progetto, che mira in ultima analisi a coltivare marijuana su Marte, si era assicurato a caro prezzo un posto su Nyx per inviare semi e materiale vegetale in orbita terrestre bassa e studiare come la microgravità influenzi la loro germinazione e resilienza. “La cannabis è resistente, polivalente e biologicamente complessa, rendendola ideale per studiare come la vita si adatta ad ambienti estremi come lo spazio o Marte”, afferma il sito web di Martian Grow. Ahimè, i semi e il materiale vegetale, destinati a nobili studi sulla crescita in microgravità, ora riposano sul fondo dell’oceano.