16 Aprile 2025
/ 14.04.2025

Come fanno gli uccelli migratori a sapere dove andare?

L’orientamento degli uccelli migratori è da sempre un tema affascinante. E adesso si intreccia con il fascino della fisica quantistica

Quante volte ci è capitato di alzare la testa e osservare stormi di uccelli in volo e rimanere affascinati dalla loro coordinazione e dalla loro capacità di muoversi nello spazio con tanta precisione? Percorrono i cieli per migliaia di chilometri per ritrovare il loro habitat naturale. E durante questi lunghissimi spostamenti dimostrano un’incredibile capacità di orientamento. La domanda che sorge spontanea è: ma come fanno?

Occhi e meccanica quantistica

Le risposte non sono semplici: a lungo gli scienziati hanno per esempio ipotizzato che questa capacità possa essere legata alla percezione del campo magnetico terrestre; o, ancora, che possa essere un meccanismo innescato dal coinvolgimento di particelle di magnetite nel becco degli uccelli.

Ma c’è una teoria, supportata anche da evidenze sperimentali, che cerca risposte all’interno della meccanica quantistica. Alcuni studiosi hanno scoperto che alcune specie, come per esempio il pettirosso europeo, hanno una sorta di “bussola quantistica” nei loro occhi. In particolare gli studi, condotti da Peter Hore dell’Università di Oxford e dal gruppo di ricerca dell’Institute of Avian Research, indicano che questi animali sfrutterebbero una proprietà della fisica quantistica chiamata effetto coppia di radicali. Un fenomeno, questo, che si verifica quando una coppia di elettroni, generata attraverso reazioni biochimiche, presenta uno stato quantistico influenzato da un campo magnetico esterno.

Elemento chiave in questo processo è il criptocromo 4, una proteina presente nelle cellule retiniche di questi animali. In breve, quando la luce colpisce il criptocromo innesta una reazione chimica che genera coppie di elettroni con spin correlati. Il che, in termini più semplici, significa che si vengono a creare coppie di elettroni che ruotano nella stessa direzione. Questi elettroni, influenzati dal campo magnetico terrestre, secondo questa affascinante teoria, permetterebbe agli uccelli di percepire una sorta di “mappa” magnetica del pianeta.

Il ruolo della luce e del “rumore”

Un aspetto chiave della percezione magnetica è la dipendenza dalla luce: la rilevazione magnetica negli uccelli, infatti, sembra richiedere specifiche lunghezze d’onda luminose per attivare l’effetto “coppia di radicali”. E questo è un aspetto che rafforza il ruolo del criptocromo 4, una teoria che già nel 2000 era stata avanzata dal biofisico Klaus Schulten, quando intuì che proprio una proteina criptocromo poteva essere una candidata plausibile per ospitare il meccanismo di coppia radicale negli uccelli.

Ancora, un ulteriore elemento a supporto della teoria quantistica deriva dall’effetto del “rumore” elettromagnetico. In particolare, i calcoli condotti dagli esperti hanno dimostrato che gli elettroni della coppia radicale cambiano tra stati di spin, e dunque di rotazione, a frequenze specifiche. Il che, tradotto in altri termini, significa che gli uccelli che sfruttano il campo magnetico per orientarsi in presenza di campi elettromagnetici urbani potrebbero disorientarsi facilmente. Ma gli scienziati sono ancora al lavoro per perfezionare i calcoli.

Anche la natura ha dei limiti

Uno studio recente ha suggerito che l’evoluzione di questa capacità negli uccelli migratori potrebbe avere un limite, rappresentato proprio da un principio fondamentale della meccanica quantistica, ossia il principio di indeterminazione di Heisenberg. Questo assunto dice che non possiamo conoscere con precisione assoluta alcune coppie di proprietà di una particella, come la sua energia e il suo tempo: più si ha padronanza di una, meno si ha dell’altra. Insomma, la fisica dà e la fisica toglie. Tuttavia, nonostante questi limiti, la combinazione di studi biochimici, comportamentali e teorici spinge gli esperti del settore verso la formulazione di una spiegazione quantistica della percezione magnetica aviaria. Da una parte, infatti, la proteina criptocromo 4 ha confermato i sospetti di Klaus Schulten, e si è rivelata come elemento chiave nel meccanismo di rilevazione del campo magnetico. Dall’altra, il modello della coppia radicale ha fornito un quadro coerente con i dati sperimentali.

La natura non smette mai di stupirci.

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