16 Maggio 2024
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Salute

Come il corpo umano ha imparato a sopravvivere al tempo

Dalla Mesopotamia agli Antichi Egizi, dalla medicina cinese, alla cura indiana, alla filosofia greca, al sapere degli etruschi. Guaritori, stregoni, nonne sagge, erbe di campo e tutte le vie che hanno condotto l’Uomo ad imparare a prendersi cura di sé, della sua salute mentale spirituale e fisica. Per resistere al tempo, autocurarsi e sopravvivere.

Quella tra l’Uomo e la malattia è una lotta millenaria. Le risposte alla ricerca di senso, nelle avversità, hanno prodotto, nel tempo, interessanti e diversificate pratiche di cura e autocura. Guardando all’antichità, tra i popoli della Mesopotamia la medicina era essenzialmente sacerdotale. Chi si affidava agli esperti, con una funzione attiva, dunque, nella determinazione della loro presunta efficacia, doveva sottoporsi ad impacchi caldi e freddi che coinvolgevano elementi come acqua e fuoco, interessando il cuore, considerato sede dell’intelletto, il sangue, come luogo della vita ed il fegato come organo centrale della circolazione. Nella stessa epoca, lungo il Nilo, il sapere medico degli Antichi Egizi, comprendente indicazioni chirurgiche, prescrizioni di medicamenti, norme mediche, frammiste a formule e invocazioni magiche, veniva tramandato in papiri tuttora conservati a Lipsia e Berlino.

L’origine della medicina cinese, regolata dai principi antitetici Yin e Yang, si deve, probabilmente, al leggendario imperatore Shen-Nung. In India avevano un ruolo di rilievo gli “umori come vento, bile, flemma, mentre i palazzi di Cnosso documentano la presenza di raffinate infrastrutture igieniche già dell’antica Grecia, dove si iniziò a parlare di medicina nelle scuole filosofiche. La medicina romana traeva insegnamento dal sapere degli antichi popoli etruschi e degli altri popoli italici: erano i pater familias a prendersi carico degli altrui malanni.

Anche se le vie della storia, comprese quelle della contemporaneità, passano attraverso guaritori, stregoni, nonne sagge, erbe di campo, conducendoci a percorsi sempre più professionalizzanti, individui e comunità hanno mantenuto inalterato l’equilibrio esistente tra approccio “personale” agli “itinerari terapeutici”, pensati in proprio e individuati prima, cioè, di affidarsi agli specialisti del settore, e ricorso al sistema “ufficiale” della “sanità”. Soluzioni “private” che si situano, anche stavolta con un ruolo attivo, all’interno di percorsi storici di medicalizzazione e che guardano con attenzione sempre maggiore al mercato. È, infatti, uno spazio molto intimo quello da cui muove questo sentire, il “luogo del controllo” interiore che stabilisce le affinità con i medici e con i farmaci. Vincono quelli più familiari, giudicati affidabili, resi significativi. Oramai d’uso quotidiano anche gli apparecchi per il controllo di parametri vitali. Strumenti, da configurare e ai quali configurarsi, che testimoniano l’importanza della pervasività sociale delle pratiche biomediche “istituzionalizzate”. Tra quelli oramai di uso comune, che potremmo definire naturalizzati, oltre al più banale termometro, basti pensare allo sfigmomanometro, all’aerosol, allo spirometro, al saturimetro. Evoluzioni di consuetudini e di tecnologie che non lasciano indenni neppure i nostri smartphone, capaci, grazie all’intuizione dei ricercatori, di trasformarsi in utili alleati nella direzione del proprio benessere quotidiano.

 

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