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Cronaca, Esteri

Condannato per diffamazione, il carattere troppo costoso di Trump

28.01.2024

Quanto Trump potrà resistere al suo carattere troppo costoso? La giuria di New York impiega solo tre ore per decidere la condanna di 83,3 milioni di dollari a favore della giornalista E. Jean Carroll per gli attacchi diffamatori subiti. Show in aula e minacce per oltraggio alla Corte infiammano il Web. Per proteggere i giurati il giudice Kaplan impone l’anonimato.

Donald Trump dovrà pagare 83,3 milioni di dollari alla giornalista E. Jean Carroll per gli attacchi diffamatori seguiti agli articoli nei quali la donna denunciava di essere stata da lui aggredita sessualmente, trent’anni fa, in un camerino del grande magazzino Bergdorf Goodman. Lo ha stabilito il tribunale civile federale di New York. L’ex presidente ha reagito su Truth Social annunciando appello, ma anche definendo il processo una caccia alle streghe da parte di Biden contro l’intero partito repubblicano. All’orizzonte c’è la sentenza per frode fiscale, che potrebbe giungere già mercoledì 31 gennaio.

Per Trump è la seconda sconfitta sulle accuse mossegli da Carroll. Nel maggio 2023 il tribunale lo aveva condannato a pagare cinque milioni di dollari per l’aggressione in sé e per la diffamazione iniziale. Proprio per questo, il processo appena concluso non ha riesaminato l’aggressione – che, aveva detto il giudice Kaplan nella prima udienza, era stata accertata nell’altro – ma solo l’eventuale risarcimento dovuto alla donna.
Contro Trump ha militato probabilmente la difesa più mediatica che tecnica di Alina Habba, avvocatessa abituata più ai dibattiti televisivi che alle aule di giustizia. Kaplan ha dovuto più volte richiamarla al rispetto delle regole della procedura civile e, nell’ultima udienza, minacciarla di arresto per oltraggio alla Corte. Né hanno aiutato i ripetuti tentativi di rimettere in discussione l’aggressione, la visibile insofferenza di Trump, che esprimeva giudizi ad alta voce o addirittura abbandonava l’aula per non ascoltare gli interventi della controparte, seguiti dal fiume di post offensivi pubblicati in diretta sul suo social personale. Sul piano sostanziale, Trump si era appellato alla libertà d’espressione protetta dal primo emendamento: una difesa resa insostenibile dall’esistenza stessa dei reati di diffamazione e calunnia. Respinta anche l’insindacabilità delle dichiarazioni rese durante il mandato presidenziale.

Per proteggere i giurati dagli attacchi dei sostenitori di Trump, come avvenuto in altri casi, il giudice Kaplan ha imposto loro di restare del tutto anonimi. Finita l’ultima udienza, la giuria ha impiegato solo tre ore per decidere che a Carroll spettavano 7,3 milioni per danni emotivi, 11 per danni reputazionali e ben 65 di “danni punitivi”. Totale 83,3, più del triplo della cifra transata a New York nel 2026 per la truffa della Trump University. Proprio su questo punto aveva battuto l’avvocato di Carroll: danni commisurati al patrimonio per avere un effetto deterrente sul responsabile.
Certo, rispetto ai 14 miliardi di dollari di patrimonio immobiliare e ai 10 che Trump attribuisce al suo nome, gli 83,3 milioni sono appena lo 0,3 per cento. Ma il discorso cambia in termini di liquidità. Per ricorrere in appello, Trump dovrà infatti depositare in tribunale l’intera somma o una fidejussione equivalente. Senza dimenticare che nel processo per frode fiscale la Procura ha chiesto che Trump paghi ben 370 milioni. Anche lì, appello sicuro, ma necessità di contante per ricorrere. Finora Trump ha coperto le spese legali (per dire: 3,5 milioni al solo studio Habba) con fondi raccolti per la campagna elettorale, che però stanno finendo proprio mentre inizia la corsa alla Casa Bianca. Più che la riprovazione degli elettori o la condanna penale, a fermare il suo ritorno a Washington potrebbe essere la cassa vuota.

 

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