Il territorio italiano è un organismo vivo, eppure il 2024 segna l’ennesima ferita. Secondo il rapporto Snpa “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” dell’Ispra, quasi 84 chilometri quadrati di suolo sono stati coperti da nuove superfici artificiali, con oltre 78 chilometri quadrati di consumo netto: il valore più alto dell’ultimo decennio. Ogni ora spariscono circa 10 mila metri quadrati di terreno, mentre il ripristino delle aree naturali riguarda appena 5,2 chilometri quadrati, in calo rispetto all’anno precedente. In questo modo, la natura fatica a recuperare i suoi spazi.
Oggi molte regioni hanno già perso più del 5% del loro territorio, con Lombardia, Veneto e Campania ai vertici per superficie consumata. L’Emilia-Romagna guida la perdita annuale, e preoccupa anche lo spostamento del fenomeno verso Sud, con Puglia, Sicilia e Sardegna che raggiungono o superano i livelli delle regioni tradizionalmente più urbanizzate. Persino la Valle d’Aosta, storicamente la regione meno urbanizzata, ha aggiunto nuovi ettari di suolo consumato.
Questa emergenza nazionale non risparmia neppure le aree sensibili: le zone a rischio dissesto tornano a registrare incrementi significativi, mentre le fasce costiere presentano più del triplo della media nazionale di suolo impermeabilizzato. La perdita di verde urbano resta grave, con migliaia di ettari di aree naturali sottratte alle città. Anche le aree protette e la rete Natura 2000 subiscono nuove occupazioni artificiali, confermando che nessun territorio è immune.
Le principali cause: cantieri, logistica ed energia
Il consumo di suolo si distingue in permanente, legato all’impermeabilizzazione, e reversibile, legato ad artificializzazioni temporanee. La componente principale (56% del consumo annuale) riguarda i nuovi cantieri (4.678 ettari), che nella maggior parte dei casi diventeranno coperture permanenti come edifici e infrastrutture.
Escludendo i cantieri, il consumo permanente (35% del totale) è dominato dagli edifici (623 ettari), da piazzali e strade (351 ettari) e da aree estrattive (436 ettari). Anche altre coperture artificiali contribuiscono significativamente (581 ettari).
Aumentano anche le superfici occupate dalla logistica (+432 ettari), soprattutto in Emilia-Romagna, Piemonte e Lombardia, e dall’espansione dei data center, che hanno occupato oltre 37 ettari, concentrati principalmente al Nord. Tra le forme reversibili, i pannelli fotovoltaici a terra crescono rapidamente ma sono non la causa principale del consumo di suolo.
Ma il suolo va tutelato anche dall’agricoltura intensiva. Lavorazioni aggressive, erosione e perdita di humus riducono fertilità e capacità di trattenere CO₂. Prati e pascoli, veri patrimoni nazionali, rischiano di scomparire sotto la logica del profitto immediato.
Urgenza di rigenerazione e tutela
Proprio per questo, l’urgenza è quella di invertire la rotta, quindi passare dall’espansione su suolo naturale alla rigenerazione delle aree già costruite. Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, denuncia norme obsolete e incoerenti: divieti parziali non fermano il consumo, mentre cemento, poli logistici e data center continuano a divorare terreni agricoli. È ora di puntare al principio di “zero consumo netto di suolo” e orientare l’edilizia al recupero e alla riqualificazione urbana, con criteri di sostenibilità e adattamento climatico.
Un segnale positivo arriva dall’Europa: il Parlamento ha approvato la Direttiva sul suolo, prima normativa comunitaria per la tutela dei terreni. Pur meno ambiziosa della proposta iniziale, permette di costruire una piattaforma condivisa di dati e definire criteri comuni per il risanamento.
Ma non basta. Proteggere il suolo significa combattere cemento e speculazione, insieme alle pratiche agricole intensive. Angelo Gentili di Legambiente ricorda che il suolo è la “cassaforte della vita”: un terreno sano trattiene CO₂, conserva fertilità e sostiene biodiversità. In un’Italia sempre più colpita da eventi climatici estremi, perderlo sarebbe un errore irreversibile.
