12.11.2024
Senza i Grandi e con poche idee, la 29esima Conferenza Onu sul clima sarà ricordata per le assenze di chi dovrebbe dare un contributo deciso e definitivo. Nell’era Biden l’economia americana registra una produzione record di petrolio, ben più della prima era Trump che affermava l’uscita degli USA dall’accordo di Parigi. Focus e osservazioni.
Il processo di riscaldamento a cui è sottoposta la biosfera innesca allarmi a catena del mondo scientifico internazionale, ma non sembra smuovere quanto sarebbe necessario i leader dei Paesi che emettono la maggiore quantità di gas serra. La 29esima Conferenza Onu dedicata ai cambiamenti climatici, apertasi a Baku, sarà ricordata per le assenze di chi dovrebbe contribuire in modo deciso e definitivo al cambio di passo. Peraltro, si è deciso di organizzarla in Azerbaijan, Paese che basa la sua economia sui combustibili fossili ed è un evidente paradosso che dal centro dei lavori congressuali l’orizzonte sia punteggiato dalle torri di estrazione petrolifera.
Se Donald Trump, nuovo inquilino della Casa Bianca dal 20 gennaio prossimo, ha fatto sapere come tra i primi atti è intenzionato a firmare quello relativo all’uscita degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi sul clima, si intuisce che la possibilità di contenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2° C, ovvero limitarlo a 1,5° C rispetto ai livelli pre-industriali, appare un obiettivo difficilmente raggiungibile. Trump aveva già fatto un passo indietro nel 2019, nel corso del suo primo mandato presidenziale, prima che Biden nel 2021 decidesse di rientrare nel gruppo dei conferenzieri sul clima. Tuttavia, nel 2023 l’economia americana ha registrato una produzione record di petrolio, ben più della prima era Trump. Gli Usa, per volumi di gas serra, sono secondi solo alla Cina, che insieme all’India nell’ultimo periodo si è trovata costretta a spingere ulteriormente sulla produzione di energia da fonte fossile a causa dell’insufficienza apporto di quella idroelettrica. Non una giustificazione, ma un’evidenza di quanto accade, nel senso che le conseguenze del surriscaldamento e delle alterazioni climatiche limita finanche il processo di approvvigionamento energetico attraverso fonti rinnovabili.
A un anno dalla Cop28 di Dubai, con l’enunciazione dei buoni propositi in tema di transizione e abbandono progressivo delle fonti fossili, la situazione appare in stallo e il rischio è che sia transitoria proprio la Cop29, che precede quella che si terrà nel 2025 in Brasile. Il cui presidente Lula non interverrà a Baku, al pari di Joe Biden, Xi Jinping, dell’indiano Modi. Viene meno, in definitiva, l’atteso segnale politico globale.
In assenza di Ursula van der Leyen, Emmanuel Macron e Olaf Scholz, la scena europea sarà rappresentata il 13 novembre da Giorgia Meloni, che interverrà in assemblea plenaria nel suo anno di presidenza del G7. La Cop29, che si svolge nell’anno più caldo di sempre e con fenomeni meteorologici devastanti, diventa così un discorso tra tecnici governativi che riporteranno le conclusioni ai rispettivi leader. L’unico atto dovrebbe essere rappresentato dall’impegno ad aumentare la quota annuale di 100 miliardi che i Paesi ricchi assicurano per aiutare il Sud del mondo a tagliare le emissioni.